da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), mente (podcast)
Ognuno di noi è spinto dai propri bisogni infatti i bisogni sono l’energia più forte che ci guida. Quando non siamo consapevoli dei nostri bisogni agiamo spinti da forze che non consociamo e comprendiamo, quindine siamo spaventati. È necessario partire dai bisogni per far funzionare il sistema UOMO, per poter vivere al meglio e accrescere il nostro benessere. Ma cosa sono i bisogni? Per poter comprendere cosa è un bisogno, dobbiamo considerarne i 4 elementi caratterizzanti: • MANCANZA: quando parliamo di bisogni, parliamo sostanzialmente di una mancanza: abbiamo bisogno di qualcosa poiché non ce l’abbiamo o non ne abbiamo a sufficienza. • IMPORTANZA: non sentiamo la mancanza di qualsiasi cosa non abbiamo o non abbiamo a sufficienza, ma di quello che per noi è indispensabile, ovvero necessario, quindi importante. • PERCEZIONE: il punto di vista psicologico aggiunge un dettaglio importantissimo, che è quello della percezione: il bisogno è correlato alla nostra percezione, ovvero a quello che noi riconosciamo, individuiamo come un bisogno, cioè, come una mancanza di ciò che ci è necessario per il nostro benessere. • DESIDERIO: bisogni e desideri sono strettamente legati tra di loro: il desiderio è un sogno, un’aspirazione, un’ambizione che vogliamo raggiungere, realizzare, concretizzare. Quindi, nella dimensione del bisogno, il desiderio, ancora una volta, è una attrazione a qualcosa che non abbiamo. L’aspetto legato alla percezione è di fondamentale importanza, in quanto accade spesso che ciò che percepiamo come bisogno non è un vero bisogno. E proprio per questo non possiamo soddisfarlo e proviamo malessere e sofferenza. Relativamente ai nostri bisogni commettiamo alcuni errori che ci impediscono di soddisfarli e quindi generano in noi insoddisfazione, rabbia e frustrazione: 1) non sentirli: spesso li neghiamo, li soffochiamo, li reprimiamo, per difesa. 2) Non riconoscerli: sentiamo la spinta del bisogno, cioè stiamo male, proviamo malessere, ma non riusciamo a dare un nome al nostro sentire. 3) Non esprimerli: pensiamo di esprimerli, ma non ne siamo capaci, non sappiamo farlo. 4) Esprimerli male: non sappiamo farlo in modo efficace e costruttivo, diamo per scontato e non esplicitiamo. Non esprimiamo e poi attacchiamo, questo genera conflitto. 5) Non occuparsene: i veri bisogni sono quelli di cui ci possiamo occupare, se deleghiamo agli altri o pretendiamo da altri sono falsi bisogni. Se impariamo a sentirli, riconoscerli, esprimerli, allora possiamo occuparci dei nostri bisogni e aumenterà il nostro benessere. Il passo fondamentale è partire da noi, iniziare a conoscerci e a curare la relazione con noi stessi. E tu, conosci i tuoi bisogni? Quali sono i tuoi veri bisogni?
da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), mente (podcast)
Come gestisci le difficoltà? Come gestire i momenti difficile della vita? Quali sono le emozioni che ti accompagnano nei momenti difficili? Qual è il tuo atteggiamento quando vivi situazioni difficili? Capita ad ognuno di noi di vivere delle difficoltà ed ognuno ha un proprio modo di provare a superarle; ognuno di noi cerca di reagire come può e come sa per poter superare i momenti difficili nel miglior modo possibile. Cosa possiamo fare per gestire al meglio questi momenti? Vi sono quattro passi che possono aiutarci a vivere il momento della difficoltà in modo costruttivo ed evolutivo. Il primo passo è costituito dall’esame di realtà: quando stiamo vivendo un’esperienza dolorosa e difficile possiamo ritornare ai dati di realtà, a ciò che sta accadendo davvero, non alla percezione che abbiamo noi di ciò che sta accadendo. Questo consente di avere la lucidità per affrontare al meglio le nostre difficoltà. Il secondo passo è l’acquisizione di padronanza emotiva: avere padronanza emotiva vuol dire evitare il pendolo tra negare le emozioni oppure controllarle. La padronanza è diversa dal controllo. Vuol dire sentire l’emozione, riconoscerla, accoglierla, padroneggiarla, saperla gestire, ma solo dopo averla riconosciuta e accolta. In questa fase è importante imparare a distinguere tra emozioni di primo livello ed emozioni di secondo livello. Il terzo passaggio è trovare la centratura: come facciamo a capire che non siamo centrati? Quando viviamo solo emozioni negative e basta. In questo caso siamo totalmente in balia della nostra mente. Cosa possiamo fare? Respirazione controllata-meditazione-preghiera-relazioni…ci prendiamo la responsabilità di occuparci della nostra centratura. La centratura è essere presenti a se stessi, stare nel momento con l’emozione che c’è. Non avere la pretesa di controllare tutto e di cacciare via le emozioni spiacevoli. Il quarto passo consiste nel dirigere con padronanza il condominio interno: dentro di noi ci sono tante parti, ognuna con le proprie esigenze, con le proprie emozioni, con le proprie ragioni; ci sono le parti giudicanti, la parte spaventata, la parte arrabbiata, la parte pessimista…possiamo ascoltarle ma non andargli dietro. Infine, il passo più difficile, ma allo stesso tempo necessario è l’ affidamento, il mollare il controllo, accogliere ed accettare la realtà per quella che è. Qual è il passo per te più difficile da concretizzare?
da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Quante volte ci è capitato di guardare all’altro e metterci a paragone con lui? E quante volte questo ha generato in noi un sentimento di frustrazione e rabbia, di invidia? Come possiamo superare l’invidia? L’ invidia è un’ emozione secondaria che ogni essere umano prova. Spesso notiamo quando siamo oggetto di invidia per gli altri, ma è più difficile notare quando siamo noi a fare degli altri oggetto della nostra invidia. Infatti l’invidia è una di quelle emozioni che fatichiamo a riconoscere e a riconoscerci come nostra, poiché le attribuiamo un significato negativo. In realtà è un’emozione umana, che ognuno prova e, come ogni cosa che fa parte dell’umano, se non la vediamo e la riconosciamo, lavora dentro di noi e ritorna sempre più forte. Il primo passo fondamentale è proprio imparare a riconoscere la nostra invidia. Cosa è l’invidia? È un’emozione secondaria che si compone di diverse emozioni, caratterizzata da una concentrazione sull’esterno e sull’altra persona, da una percezione che l’altro abbia qualcosa di importante che noi non abbiamo, dalla percezione di una mancanza in noi, che provoca dentro di noi tristezza; a questo si aggiunge l’idea di subire un’ingiustizia (l’altro si ed io no) e quindi proviamo rabbia; poi spesso accade che proviamo anche un senso di impotenza, perché crediamo che noi non potremo mai essere come l’altro o avere quello che lui ha, e quindi esce la paura, o meglio le paure, paura di essere inferiori, amabili, bravi come….etc. Cosa possiamo fare? Come possiamo lavorare in modo costruttivo con la nostra invidia? Ci sono 3 possibili vie d’uscita dall’invidia, 3 passi per superare l’invidia: *Vedere la proiezione: proiettare vuol dire non voler vedere i nostri lati d’ombra e attribuirli all’altro, sia le cose negative sia quelle positive. Divenire consapevoli del fatto che noi invidiamo l’altro e accorgerci del significato che attribuiamo all’invidia, può essere propulsore di un cambiamento di atteggiamento e ci può aiutare a trasformare la nostra invidia in ammirazione. Ciò che invidiamo è un simbolo. *Trovare le nostre risorse: cosa simboleggia ciò che invidi? È necessario vedere ciò che invidiamo e analizzarlo, andare a fondo di ciò che significa per noi e renderlo esplicito. È importante capire il valore che inseguiamo e quali risorse possiamo attivare per raggiungerlo. *Empatia e ammirazione: per superare l’invidia è necessario cambiare stato di coscienza. Occorre cioè lavorare sui pensieri, emozioni, sentimenti che ci impediscono di empatizzare nella gioia. Prestare attenzione a questi punti non significa eliminare l’invidia, ma impareremo ad avere un occhio più attento e allenato a riconoscere l’invidia ed impareremo a gestirla. Cambierà la nostra relazione con l’invidia. E tu, che relazione hai con l’invidia?
da Antonio Quaglietta | Giu 18, 2021 | Podcast, relazioni (poscast)
Quanto conosci te stesso? Conoscere se stessi significa innanzitutto essere consapevoli del proprio mondo interno, di ciò che accade dentro di noi, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e dei nostri bisogni. La conoscenza di se è in assoluto un prerequisito per migliorare, possiamo migliorare solo ciò che conosciamo. Jung ha detto: “Chi guarda fuori sogna. Chi guarda dentro si sveglia” Che vuol dire? Spesso noi parliamo di sogni immaginando qualcosa di bello, romantico e piacevole; in realtà molto spesso parlare di guardare fuori, guardare all’esterno di noi stessi, coincide con qualcosa che assomiglia più ad un incubo che ad un sogno: Ci diciamo che la vita non va bene, che le cose ci capitano, che ci sono le ingiustizie, che gli altri sono migliori o peggiori di noi, etc. Lo sguardo è sempre rivolto fuori, verso l’esterno, verso l’altro.. Chi si guarda dentro inizia, invece, a vedere come lui stesso costruisce quello che poi vive. Quando iniziamo a guardarci dentro cominciano ad attivarsi in noi le difese, prima tra tutte le proiezione, per la quale siamo spinti ancora una volta a stare “fuori” di noi. Guardarsi dentro non è un fatto naturale e culturalmente è un fatto quasi deriso. Ma è fondamentale per conoscere se stessi. Guardare dentro significa vedere come costruiamo la realtà, come reagiamo agli stimoli esterni e come queste reazioni si riflettano poi nel nostro mondo interno. L’esterno non possiamo cambiarlo; possiamo però imparare a gestire l’interno. Quali sono i tre passi per conoscere se stessi? Le tre vie per conoscersi sono: 1- Ascolto di sé: è fondamentale per conoscersi: come possiamo conoscerci senza ascoltarci? C’è una notevole differenza tra stare tutto in esterna o stare con se stessi. All’inizio, quando cominciamo a frequentare il nostro mondo interno, c’è tanto rumore e confusione, ma poi possiamo imparare a distaccarci da quel rumore, iniziare a distinguere, a sentire cosa passa nel nostro mondo. Se non ci ascoltiamo, non possiamo percepire i nostri pensieri, i nostri bisogni, le nostre emozioni. ma per potere ascoltare ed ascoltarci dobbiamo fare silenzio. 2- Consapevolezza: finchè non portiamo a consapevolezza ciò che è inconsapevole siamo automatici, siamo meccanici. E, di conseguenza, non sappiamo gestire il nostro mondo interno. Conoscere se stessi richiede quindi consapevolezza e ci permette di gestirlo. 3- Le relazioni: si cresce nelle relazioni perché le relazioni ci danno la possibilità di vedere ciò che non vogliamo vedere, di rispecchiarci in modo che da soli non possiamo fare. Nelle relazioni intime sono sollecitate tante parti di noi e quindi emergono tante parti di noi. Quando noi diventiamo più consapevole possiamo iniziare a gestire i nostri automatismi e reattività. E tu, quanto conosci te stesso?
da Antonio Quaglietta | Giu 4, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Con Roberta Cazzaniga, osteopata e fisioterapista, affrontiamo l’argomento analizzandolo non soltanto da un punto di vista psicologico, ma anche dal punto di vista fisico, approfondendone la natura psicosomatica e la relazione tra la mente e il corpo nella gestione del dolore. Il dolore non è qualcosa di uniforme, ma ha tante sfaccettature, cioè esistono tanti tipi di dolore. Il dolore ha molteplici forme, ma per cultura tendiamo ad appiattire le sfumature del dolore e arriviamo a considerare che tutti i dolori sono uguali. Quando entriamo in contatto con il dolore vogliamo che passi. E anche l’atteggiamento complessivo della società è quello di voler eliminare qualsiasi forma di sofferenza perché vuole avere benessere. Infatti la persona è considerata sana se non prova dolore. In realtà non può essere sempre così. Tra i diversi tipi di dolore possiamo riscontrarne uno per cui, nonostante tutti i tessuti siano intatti, sentiamo comunque il dolore. Si tratta di una alterazione della plasticità neuronale. È un dolore in assenza di danni strutturali, ma comunque un dolore fisico. Il dolore fisico è una percezione corporea che abbiamo, legata ad una sensazione fisica. Successivamente la elaboriamo con la mente, e in qualche modo, più o meno consapevole, noi decidiamo come vivere quella esperienza. Ci sentiamo sbagliati perché proviamo dolore? Sentiamo di aver subito un ingiustizia e proviamo rabbia? Vogliamo scacciarlo e basta? Vogliamo risolvere? Vogliamo solo trovare un colpevole? La sofferenza è diversa dal dolore: è il dolore sul dolore. E si può legare al dolore emotivo, psicologico. Molta della nostra sofferenza è collegata proprio al modo con cui decidiamo di affrontare il nostro dolore. Quanto siamo consapevoli dei nostri bisogni nell’esperienza di dolore che viviamo? Quanto siamo in contatto con le nostre emozioni? Quali sono le nostre convinzioni rispetto alla situazione di dolore e sofferenza che stiamo vivendo? Dove è focalizzata la nostra attenzione? Ecco che, ancora una volta, con la meccanica delle relazioni si possono approfondire tutti questi aspetti necessari a venire a capo delle nostre sofferenze. Se non abbiamo cognizione dei bisogni, delle nostre emozioni, delle convinzioni e di dove è la nostra attenzione, sarà difficile riuscire a gestire il dolore. Anche lì ci vuole la responsabilità di decidere di fare un lavoro sul proprio dolore e su ciò che ad esso si ricollega conseguenzialmente: la sofferenza psicologica e la sofferenza relazionale. Il primo passaggio è quello di mostrare il dolore, imparare ad esplicitare ciò che viviamo, assumendoci anche il rischio di incomprensione, di mancata empatia da parte dell’altro, di solitudine. Partendo dal riconoscimento dei nostri bisogni, possiamo quindi mostrarli all’altro e fare ciò che possiamo concretamente.
da Antonio Quaglietta | Giu 3, 2021 | Podcast, relazioni (poscast)
Il termine rispetto etimologicamente deriva dal latino ‘respicere’ e può essere tradotto con guardare indietro. Possiamo dare due interpretazioni a questo “guardare indietro”: per aver rispetto dobbiamo sapere guardarci indietro, ma può voler dire anche sguardo che ci torna dall’altro, ovvero come l’altro mi guarda. Per comprendere cosa sia per noi il rispetto dobbiamo partire dal tipo di linguaggio che associamo al concetto di rispetto, soprattutto ai verbi che usiamo per parlare di rispetto. Esigere rispetto, pretendere, ottenere, guadagnare, dare, concedere il rispetto: questo linguaggio è figlio di una cultura deformata al livello relazionale. Il linguaggio poi diventa un modo di pensare e di agire. Rispetto non è sottomissione, non è paura. Non è un oggetto da scambiare da dare o ricevere. Allora cosa è? Qual è il linguaggio giusto da utilizzare quando parliamo di rispetto? È creare. Creare rispetto. È un valore relazionale che si crea, appunto, in una relazione. Come si crea una relazione di rispetto? 4 modi per farsi rispettare, o meglio, per creare rispetto: 1) costruisco trasparenza: quando sono congruente e trasparente creo rispetto nella relazione: conosco i miei bisogni, ma per conoscerli bisogna che io mi ascolti. 2) Mi rispetto e rispetto l’altro: se non ti rispetti gli altri si sentiranno autorizzati ad avere atteggiamenti poco rispettosi. Come posso rispettarmi? Innanzitutto imparando a conoscermi, imparando ad amarmi, a prendermi cura di me stesso. 3) Mostro i miei bisogni all’altro: nella relazione indago i miei bisogni e quelli dell’altro, e non li giudico, li rispetto. Come mostriamo i nostri bisogni? Li mostriamo o li lasciamo intuire? Che linguaggio utilizziamo? Con la pretesa? Con la lamentela? Con l’accusa? Come accogliamo i bisogni dell’altro? 4) Stabilisco confini chiari: se un confine non è chiaro, in che modo si può rispettarlo? È impossibile rispettare un confine quando non è ben definito. È necessario, nelle relazioni, chiarire i confini a noi stessi e chiarirli con l’altro. E saperli difendere. Poiché non sappiamo definire in modo chiaro i nostri confini e a volte non sappiamo comunicarli, rischiamo di incorrere in questi due errori: 1) pretendo: accumulo rabbia senza esprimere i miei bisogni o stabilire i miei confini e quindi arrivo al punto di pretendere il rispetto. 2) Mendico: accumulo tristezza, cercando di ottenere il rispetto compiacendo l’altro. Entrambe queste strategie sono fallimentari, poiché essendo il rispetto un bene relazionale, può essere soltanto costruito, non preteso o mendicato.
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