Episodio 174 – Famiglia d’origine: come trovare l’equilibrio?

Episodio 174 – Famiglia d’origine: come trovare l’equilibrio?

Approfondiamo il tema sulle relazioni con la famiglia d’origine. Ci sono nodi da sciogliere legati alla famiglia di origine; consapevolezze da acquisire; decisioni da prendere. È un cammino di crescita personale che ognuno è chiamato a fare, per raggiungere un equilibrio tra il bisogno di appartenenza e il distacco necessario dalla propria famiglia d’origine. Si tratta, fondamentalmente, di un lavoro interno, personale, da portare poi nelle relazioni con gli altri. Perché avvenga un processo di individuazione è necessario un distacco dalla “cultura” della famiglia di origine. Noi nasciamo in una determinata famiglia, con una specifica cultura ed è necessario comprendere che quella cultura non è “il giusto” in assoluto. Riprendendo la distinzione di Minuchin, psichiatra e psicoterapeuta argentino, possiamo fare una distinzione del tipo di famiglia di appartenenza tra famiglia invischiata e famiglia disimpegnata. La famiglia invischiata è quel tipo di famiglia in cui non ci sono confini, in cui lo stato d’animo di uno corrisponde allo stato d’animo di tutti, in cui non si tengono “le porte chiuse”. Il vissuto è un vissuto collettivo. Può produrre disturbi nell’area psicosomatica e dei disturbi alimentari. La famiglia disimpegnata è quella famiglia in cui non ci sono vere relazioni di cura, vi è una convivenza “per lavoro”, in cui non ci sono relazioni nutrienti. Potrebbero dare origine a comportamenti antisociali. In una famiglia sana si alternano momenti e fasi diverse, vi è fluidità e cambiamento. Il problema c’è quando l’appartenenza ad uno dei due tipi di famiglia è strutturale. Il primo passo fondamentale è riconoscere, ascoltando il corpo e le proprie emozioni, la propria tipologia di famiglia e darsi il permesso di iniziare un lavoro personale di individuazione, di conoscenza di noi stessi, dei nostri meccanismi interni, delle resistenze e difese che si alzano per il dolore legato alla nostra storia, o meglio all’interpretazione che noi diamo della nostra storia. Quanto sei disposto a lavorare con te stesso, a comprenderti? A superare le tue difese bypassando l’ego?  
Episodio 173 – IO, nella famiglia d’origine: il distacco necessario

Episodio 173 – IO, nella famiglia d’origine: il distacco necessario

Dove hanno origine i primi condizionamenti? I primi condizionamenti hanno origine proprio nella famiglia d’origine, in quanto luogo in cui viviamo e in cui riceviamo le prime indicazioni rispetto alle relazioni. Le relazioni, infatti, sono molto più potenti della genetica. Tutto ciò che ci viene automatico è frutto di condizionamenti, a partire proprio dalla famiglia. La famiglia di origine è ciò da cui partiamo. Che vuol dire svincolarsi dalla propria famiglia? Vuol dire diventare se stessi e spiccare il volo. La prima reazione, per quanto inconscia, è la paura: distaccarci dalle persone a cui vogliamo bene, che fanno parte del nostro primo nido, del nucleo in cui impariamo come voler bene, anche se a volte in maniera distorta, ci genera paura. Pensiamo che voler bene significa restare attaccati. Distaccarsi viene vissuto un po’ come un tradimento. Ma svincolarsi dalla famiglia di origine è necessario e significa iniziare un processo di individuazione. Riprendendo il modello di Bowen, possiamo approfondire la relazione con la nostra famiglia di origine concentrandoci su tre concetti fondamentali: *Tre generazioni: quando parliamo di famiglia di origine, generalmente crediamo che sia composta dalla famiglia “stretta” (mamma, papà e fratelli e sorelle); Bowen, invece, parla di tre generazioni. La famiglia non è composta dalle sole persone in vita , ma anche dalle persone delle generazioni precedenti, che influenzano ancora oggi la nostra vita nel presente. *Nella cultura familiare ci sono leggende, storie e miti familiari, che entrano a far parte della nostra psiche in modo molto forte. Tra etichettamenti e destino di quello che diventeremo. Questi miti, queste leggende sono il modo in cui i nostri genitori ci hanno tramandato la cultura delle loro famiglie che loro stessi hanno ricevuto in eredità dalle loro famiglie. *Massa dell’io familiare: ognuno di noi quando entra in iterazioni di un certo tipo con la famiglia di origine regredisce. Non siamo in grado di controllare le nostre reazioni. Annulliamo la nostra individualità ed entriamo nella massa dell’io familiare che ci risucchia dentro e non abbiamo più possibilità di scelta, siamo solo reattivi. Non ne siamo consapevoli e agiamo ciò che non conosciamo. Ciò che iniziamo a conoscere non lo agiamo più, perché ciò che è inconscio ci controlla. Ma quando diventa consapevole siamo noi a controllarlo. All’interno della nostra massa dell’io indifferenziato, noi siamo parte di un ingranaggio e funzioniamo meccanicamente in un certo modo. Il passaggio fondamentale nel processo di individuazione è iniziare a narrare la nostra storia in modo da scioglierne i nodi e prendere consapevolezza del fatto che noi siamo allo stesso tempo unici e parte di una famiglia, di una discendenza. Abbiamo un nome (la nostra unicità) e un cognome (la nostra appartenenza). L’individuazione è riconoscere tutto ciò, dando il giusto peso ad appartenenza e libertà, appartenere restando liberi. Non è rinnegare la propria famiglia, ma permettere alle parti di essere differenziate. Come possiamo fare questo concretamente? Possiamo dedicarci alla pratica, seguendo questi passaggi: * Guardare la famiglia come osservatore esterno. * Scrivere ciò che succede senza giudizio. * Notare il nostro ruolo e darci il permesso di essere altro. A che punto sei nel tuo processo di individuazione? Quali sono le difficoltà che maggiormente incontri?
Episodio 172 – Lasciare andare: domande e risposte

Episodio 172 – Lasciare andare: domande e risposte

In questo video abbiamo approfondito l’argomento del lasciare andare rispondendo alle domande. Ci sono due domande fondamentali che ruotano intorno al lasciare andare: Come riempire il vuoto? Come affrontare la paura di lasciare andare? Il lasciare andare è fortemente legato alla libertà, nostra e degli altri. Sostanzialmente è un processo che avviene dentro di noi e che non necessariamente deve coinvolgere l’altra persona. Tutto questo processo gira intorno alla paura: lasciare andare genera paura. E si arriva a voler difendere la propria immagine, il proprio ego. Ogni passo del lasciare andare è strettamente legato ad una particolare paura. Affrontando le paure, accogliendole e divenendone consapevoli, possiamo arrivare a comprendere che ciò che lasciamo andare è davvero nostro per sempre; ciò a cui restiamo attaccati, invece, ci controlla.
Episodio 172 – Lasciare andare: domande e risposte

Episodio 171- Lasciare andare per imparare ad accogliere

5 cose da fare per lasciare andare Cosa vuol dire lasciare andare? Quali sono i passaggi necessari a lasciare andare? Perché lasciare andare? Lasciar andare richiede calma, apertura e disponibilità. Generalmente lasciare andare produce dentro di noi la paura per qualcosa che non conosciamo. Lasciare andare vuol dire anche fare spazio. Vorremmo qualcosa di nuovo, ma non abbiamo spazio interno, perché siamo aggrappati a quello che abbiamo. Per questo non riusciamo a lasciare andare. Tutto ciò che non è più utile, funzionale, che non ci fa bene, che è di ingombro, occupa solo spazio ed è fondamentale imparare a lasciarlo andare. Può capitare che ci ripetiamo che non ci riusciamo; ma qui entra in gioco la nostra volontà: lasciar andare richiede un atto di volontà da parte nostra. Quali sono i passaggi per imparare a lasciare andare? 1) Riconoscere gli attaccamenti: se non sappiamo quali sono i nostri attaccamenti, non sappiamo cosa lasciare andare; sentiamo la sensazione di pesantezza, di insoddisfazione, debolezza, ci sentiamo sfiancati, ma non sappiamo cosa è che ci fa stare così. Per rintracciare i nostri attaccamenti, chiediamoci: a cosa sto restando attaccato? A cosa penso spesso? Su cosa la mia mente va in automatico? Quali sono i pensieri che emergono automatici durante la giornata? 2) Rintracciare il vantaggio: Noi siamo fatti di parti, qual è la parte che vuole lasciare andare? Quali sono invece le altre parti che non vogliono lasciare andare? Molte parti di noi si aggrappano a qualcuno o qualcosa, perché ogni parte vede in un determinato modo e le parti di noi che non vogliono mollare, vedono un vantaggio nel non farlo. Chiediamoci, dunque, quali sono i nostri vantaggi nel non mollare? Restare attaccato alla storia, alla persona, al pensiero o alla convinzione che vantaggio mi da? Restare attaccati ci da sicurezza e lasciare andare richiede responsabilità, rischio, paura e noi tendiamo sempre al beneficio, a quello che ci sembra una cosa buona per noi. 3) Fare spazio per accogliere: la paura nel mollare è paura del vuoto. Modificando questa visione, cioè se lascio andare sento il vuoto, noi ci focalizziamo solo sulla mancanza di qualcosa, sullo spazio da riempire. E il vuoto ci fa paura: resta un buco. Modificare il linguaggio dicendo “faccio spazio”, “lascio andare per fare spazio, per accogliere” ci fa concentrare sul nuovo, sull’accogliere la novità. Cambia completamente la visione e la percezione delle cose. Chiediamoci: che cosa è ingombrante dentro di me? Cosa è che oggi è inutile a cui dedico energia, pensieri? 4) Imparare ad affidarci: abbiamo paura perché abbiamo il bisogno di controllare. Non riusciamo ad affidarci alla vita. Per lasciare andare è necessario fare un atto di fede, provare fiducia. Fare piccole cose senza avere il controllo di tutto. 5) Accettare e accogliere: spesso l’attaccamento a qualcosa o qualcuno è perché non riusciamo ad accettare che è passata, che una cosa è finita. Non riusciamo ad accettare che l’impermanenza è una legge fondamentale della vita: tutto cambia. Come si fa ad accettare? Accettare è un atto di volontà. Accettare si fa accettando. Accettare vuol dire accontentarsi, nel senso di essere contento, di farsi contento di ciò che c’è.
Episodio 170 – Le parole che ci fanno più male: come modificare il linguaggio distruttivo?

Episodio 170 – Le parole che ci fanno più male: come modificare il linguaggio distruttivo?

A cosa serve il linguaggio? Come possiamo modificarlo in modo costruttivo? Il linguaggio ci serve a gestire al meglio la nostra mente e, quindi, la nostra vita. Le parole hanno la capacità di essere esperienza. Hanno un potere vibratorio ed evocativo. Richiamano immagini, sensazioni ed esperienza reale dentro di noi. Per questo è importante capire quali sono le parole che ci fanno più male. E in che modo possiamo intervenire sul nostro linguaggio. Quando parliamo di parole che ci fanno male, generalmente pensiamo che sono quelle pronunciate dagli altri, quelle che riteniamo offensive; in realtà, queste sono il male minore, sono piccoli colpi all’ego e alla nostra immagine. Le parole che ci fanno più male sono le parole vuote, quelle che ci bloccano, che ci lasciano indifferenti, che non producono in noi nessun tipo di esperienza; sono parole morte, che tolgono potere al linguaggio, alla mente e all’esperienza creativa, quella del sé superiore. Infatti, il nostro sé risponde in modo diverso al linguaggio che usiamo: è spontaneo, è generativo, creativo, ma noi lo uccidiamo con un linguaggio statico, passivo. Quali sono queste etichette distruttive, queste parole che ci fanno male? *Le generalizzazioni: il nostro ego generalizza ogni cosa: già so, già lo conosco, sono sempre il solito…funzionano sul principio di economia, ma generalizzare ci blocca. Cosa fare? Possiamo rintracciare nel nostro linguaggio ogni volta che utilizziamo “sempre, mai, la gente, tutti, gli altri, le persone” e chiederci “chi precisamente? Quando precisamente?” *il confronto: i confronti sono utili nella misura in cui si parla di vita materiale, di qualcosa di misurabile, si mettono a confronto dati concreti. Invece vengono utilizzati da noi per confrontare noi stessi per come siamo con quello che “dovremmo essere”: dovrei essere più…dovrei essere meno…il confronto è l’anticamera del giudizio. *le cristallizzazioni: sono il tentativo della mente di fermare l’attimo, l’impermanenza, lo scorrere del tempo. Danno vita ai rimpianti, ai rimorsi e si traducono in un rifiuto di continuare a stare nel flusso della vita. *le doverizzazioni: bloccano l’esperienza e ci tolgono la libertà. Quali sono invece le parole che ci danno vita? Le parole sono delle etichette, necessarie per poter entrare in comunicazione con gli altri in un certo modo. Ma quando le abusiamo, quando le utilizziamo in modo distruttivo, rimandano ad un’esperienza vuota, vengono svuotate di significato. Per questo è fondamentale imparare a gestire il linguaggio: gestire il linguaggio significa gestire la vita. Come possiamo fare? Cerchiamo le nostre parole vive, quelle che generano esperienze dentro di noi, quelle che permettono di ricontattare la nostra anima.  
Episodio 169 – Autonomia e condizionamenti: cosa ostacola la tua vera libertà

Episodio 169 – Autonomia e condizionamenti: cosa ostacola la tua vera libertà

Che cosa ci impedisce di essere liberi? Accade spesso che ci comportiamo in maniera meccanica. Per quanti sforzi facciamo, non siamo liberi e agiamo in maniera inconsapevole, seguendo spinte che provengono dal nostro interno e obbedendo ad influenze che derivano dall’esterno. Quanto siamo liberi? Cosa è la libertà? Siamo sicuri che quando facciamo ciò che ci viene spontaneo fare siamo davvero liberi? In realtà, no, poiché ognuno di noi è condizionato, da qualcosa che viene dall’esterno e da qualcosa che viene dall’interno e questi condizionamenti sono un ostacolo alla nostra libertà. Ogni comportamento meccanico, automatico, non è espressione di libertà. Le spinte interne che sentiamo sono frutto dell’educazione e dei “comandi” che abbiamo ricevuto nella famiglia d’origine. Sulla base di questi comandi, che si chiamano “ingiunzioni”, abbiamo costruito quello che in analisi transazionale si chiama copione: “piano di vita che si basa su una decisone presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi che culmina in una scelta definitiva”. Berne Le Ingiunzioni sono messaggi che arrivano dalla parte bambina/sofferente dei genitori al figlio. Quali sono? sono: non; non essere; non entrare in intimità; non essere importante; non essere un bambino; non crescere; non avere successo; non essere te stesso. Il bambino risponde alle ingiunzioni, a questi comandi dei genitori, con le controingiunzioni, che sono, appunto, il modo con cui abbiamo reagito a quello che abbiamo percepito nelle ingiunzioni; sono una strategia di sopravvivenza. Le controingiunzioni sono delle vere e proprie spinte interne e sono: sii forte, sii perfetto, compiaci, sbrigati; sforzati. Pensiamo, quindi, di essere liberi, ma dentro di noi abbiamo queste spinte, questi condizionamenti interni, che si collegano a dei condizionamenti esterni. La nostra infanzia ci ha reso sensibili a delle spinte, poi viviamo esperienze che le confermano e dall’esterno arrivano messaggi che le rinforzano. Cosa possiamo fare? possiamo sempre cambiare. possiamo fare un lavoro di conoscenza di noi stessi, che richiede impegno, ma che ha come obiettivo la nostra autonomia, ovvero, la nostra libertà. E tu, quali spinte interne hai? Quali dei tuoi comportamenti sono condizionati dalle tue spinte?