da Antonio Quaglietta | Nov 26, 2021 | relazioni (poscast), emozioni (posdcast), Podcast
Continuiamo il dialogo della scorsa settimana sulle etichette approfondendolo per comprendere meglio quali sono i meccanismi dietro l’etichettamento. Perché è così importante lavorare sulle etichette? Perché ci provocano tanta sofferenza? L’ etichettamento è necessario, inevitabile e molto utile, ma allo stesso tempo può essere molto dannoso, perché quando veniamo etichettati, tendiamo ad assumere la ‘forma’ dell’etichetta che viene utilizzata. Nelle relazioni le etichette ci fanno reagire all’immagine che abbiamo della persona e non alla persona, cioè ci tolgono l’esperienza diretta della persona. Le etichette infatti filtrano le esperienze e le impoveriscono. Le etichette, in questo senso, ci tolgono energia vitale. Noi utilizziamo le etichette per catalogare e questo ci aiuta a risparmiare energie per riuscire a muoverci nel mondo: sono delle scorciatoie per non rendere necessario dover analizzare completamente ogni volta le situazioni in cui ci troviamo. Però l’uso eccessivo e reiterato delle etichette diminuisce l’intensità delle esperienze della nostra vita, perché siamo portati a spostare l’attenzione sulle etichette che utilizziamo per confermarle. E così facendo le confermiamo davvero. Spesso questo determina una vera e propria polarizzazione nel pensiero infantile dicotomico che suddivide tutto il mondo in categorie opposte, cancellando, di volta in volta, una parte di esperienza per assolutizzarne l’altra. Noi siamo l’intero, abbiamo tutto dentro di noi, e cercare di rinchiuderci in etichette genera sofferenza inutile e dannosa e ci toglie energia preziosa. Quali passaggi fare per lavorare sulle etichette? Innanzitutto renderle consapevoli. Quindi distinguerle dall’esperienza e valutarle come etichette, ovvero proiezioni e giudizi del nostro ego.
da Antonio Quaglietta | Nov 19, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Chi sono io davvero? Capita spesso che abbiamo difficoltà a rispondere a questa importante domanda e che finiamo per identificarci con le etichette che noi stessi utilizziamo per definirci. E non solo: utilizziamo etichette anche per definire l’altro, così come l’altro le usa per definire noi. Ma servirsi di etichette per comunicare vuol dire utilizzare un linguaggio di giudizio e di manipolazione. Cosa produce l’etichettamento? E in che modo possiamo imparare ad uscire dalle etichette che utilizziamo? Per definire noi stessi, gli altri e la realtà in generale utilizziamo delle etichette. Questo perché la funzione della mente è quella di semplificare la nostra realtà. E lo fa proprio attraverso le etichette. Poiché la vita è impermanente e noi fatichiamo a stare dietro all’impermanenza, la mente ci aiuta creando delle categorie, delle etichette appunto. Che effetto hanno le etichette nella nostra vita? *Le etichette cristallizzano: l’uso di etichette rende una realtà viva, morta. Le etichette che mettiamo a noi stessi e agli altri definiscono il nostro comportamento e, in sostanza, la nostra realtà. *Le etichette modificano la nostra percezione. Noi percepiamo il mondo non per come è, ma per come siamo e per le categorie che mettiamo. *Le etichette sono manipolazione: quando mettiamo un’etichetta proviamo a manipolare la nostra realtà. Etichettare allontana dalla realtà. Le etichette manipolano la nostra realtà perché un’etichetta ha la funzione di proteggerci. La mente valuta come prima cosa la distinzione tra piacevole/non piacevole, doloroso/non doloroso, pericoloso/sicuro…e quando mettiamo un’etichetta non è mai neutra. *Le etichette quindi separano dalla realtà e falsano la verità. Qual è la soluzione a questi errori della nostra mente? Capire che non bisogna identificarsi con la propria mente ovvero con le proprie etichette, poiché è impossibile liberarci delle etichette, in quanto è impossibile liberarci della nostra mente. Possiamo solo illuminarla e divenirne consapevoli. E, quindi, chi siamo oltre le etichette? Un utile esercizio da fare per comprenderlo è vedere quali sono le etichette che utilizziamo per definire noi stessi e dove le abbiamo prese. A questo aggiungere momenti di meditazione, silenzio e connessione con noi stessi. Quindi accettare l’etichetta, etichettendola come etichetta. L’ego vuole farti credere che l’etichetta sei tu, invece dobbiamo disidentificarci dall’etichetta. E tu, quanto sei identificato nelle tue etichette?
da Antonio Quaglietta | Nov 15, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Che cosa è la gentilezza? In che modo può aiutarci a vivere meglio? Qui il libro di Don Giovanni Benvenuto: https://amzn.to/2Z1hPqM Siamo spesso portati a credere, un po’ per educazione, un po’ per il contesto sociale in cui viviamo, che la gentilezza si contrapponga alla forza: o sei forte o sei gentile. Occorre quindi, per fare chiarezza sulla forza della gentilezza, partire dalla distinzione tra compiacenza e gentilezza. La compiacenza, legata anche all’idea della ‘buona educazione’, a quei comportamenti che devi seguire per essere ben accettato nella società, non è una scelta. Sei compiacente per timore di non essere accettato. La gentilezza, invece, è frutto della scelta di riconoscere l’altro come essere umano. Se approfondiamo il tema della gentilezza ci rendiamo conto che si tratta di un’esperienza concreta che è possibile vivere e portare in quelle che possiamo definire ‘battaglie quotidiane’: essere gentili e ricevere gentilezza ci permette di riconoscere, riconoscerci e accogliere l’altro e noi stessi come essere umani. Ne vale la pena? Sempre! Perché vale sempre la pena essere gentili? Perché la gentilezza è gratuita e in quanto tale non ha valore di scambio e produce benessere in chi la pratica e in chi la riceve. È attraverso la gentilezza che impariamo guardare all’altro come un luogo sacro; è attraverso la gentilezza che impariamo ad accogliere le fragilità, i limiti, l’umanità nostra e degli altri; la gentilezza ha, in questo senso, un enorme potere trasformativo e disarmante. Ci sono infiniti gesti di gentilezza che possiamo compiere nei confronti degli altri e anche nei confronti di noi stessi- ascolto vero, accoglienza, comprensione- ricordandoci che anche un solo gesto di gentilezza fatto e ricevuto può bonificare anche vissuti poco piacevoli e creare nuove esperienze nella nostra vita e nella vita degli altri. Quali sono i gesti di gentilezza che puoi iniziare a portare nella tua vita?
da Antonio Quaglietta | Nov 15, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast), struttura dell’amore (posdcast)
E’ sicuramente capitato ad ognuno di noi di vivere un conflitto nella propria coppia. Spesso però, quando siamo in coppia, non riusciamo a gestire i conflitti che si verificano perché non abbiamo gli strumenti adatti per farlo. Accade quindi che siamo reattivi e che ripetiamo sempre gli stessi comportamenti pensando di risolvere i problemi, ma alimentiamo, in questo modo, conflitto e problemi. Innanzitutto è necessario partire dal comprendere cosa è la coppia. La coppia non è un entità ferma, ma attraversa delle fasi. Non esiste una coppia, ma esiste una coppia in una determinata fase. La prima fase è quella della seduzione: è una fase in cui proviamo a portare l’altro verso di noi, a noi interessa piacere all’altro e cerchiamo di fare in modo di piacere all’altro. La seconda fase è quella dell’ innamoramento: questa è una fase molto importante che ci permette di avvicinarci, di mostrare e conoscere il meglio di noi; è un incontro tra le diverse parti di noi. La terza fase è quella della relazione: per entrare in questa fase è necessario superare quella dell’innamoramento e occorre andare oltre l’aspetto di delusione dell’innamoramento, dell’ “e vissero tutti felici e contenti”, ci confrontiamo con la relazione, con l’altro, con le parti egoiche dell’altro e con quelle animiche. E anche noi mostriamo entrambe le nostre parti. In questa fase comincia l’impegno per passare alla fase successiva. La quarta fase è quella della stabilizzazione: questa è la fase in cui si raggiunge la stabilità e la maturità nella coppia. Il raggiungimento di questa fase richiede sforzo e impegno. Ma è l’unico modo per raggiungere l’intimità. Come si arriva alla fase della stabilizzazione? È un percorso che ha come obiettivo principale quello di raggiungere un equilibrio in 4 aree principali: *area attaccamento-distacco: trovare un equilibrio tra attaccamento e distacco, trovare la giusta distanza, restare liberi appartenendo ad un legame. *Area Novità-intimità: la coppia inizia dalla novità e va verso l’intimità; all’inizio è adrenalina pura, piano piano si raggiunge l’ intimità . *Area Emozioni-sentimenti: all’inizio è tutto emozioni, non c’è un sentimento. L’amore arriva dopo. Spesso erroneamente pensiamo che le emozioni siano il test per il funzionamento della coppia. In realtà i sentimenti sono qualcosa di più complesso rispetto alle pure importantissime emozioni. *Area Carpe diem-progettualità: è il passaggio da “viviamo alla giornata” al progetto, all’ avere un’idea di una vita insieme. Non si arriva alla stabilizzazione senza progettualità. Uscire dai conflitti di coppia vuol dire maturare una crescita personale, che richiede auto-osservazione consapevole . Nella costruzione della nostra coppia incontriamo ostacoli che possono generare il conflitto in coppia: *karma familiare *Illusioni: no sforzo…. *Egocentrismo. Possiamo però sviluppare delle risorse per liberarci: *Essere più attenti al linguaggio: quanto c’è di etichettamento nel linguaggio? Quanti giudizi esprimiamo sull’altro? *Sentire il giudizio sull’altro: con quali termini descrivi l’altro? che idea hai dell’altro? *Restare nel presente: quanto riusciamo a parlare di un fatto, senza scivolare nel giudizio? Quanto riusciamo a stare nel momento? A restare focalizzati sul fatto e non già solo sulla relazione?
da Antonio Quaglietta | Nov 15, 2021 | Podcast, relazioni (poscast)
In questa live continuiamo l’approfondimento della diretta scorsa sull’argomento del giudizio, partendo da una distinzione fondamentale: la differenza tra discernimento e giudizio. Il giudizio è l’attribuzione di un valore a qualcosa che ha maggiormente a che fare con l’esprimere ostilità, avversione e condanna verso qualcuno o qualcosa. Il giudizio ci stacca dal presente, che è la vita stessa e ci fa entrare nella sofferenza. In questo stato di sofferenza proviamo, tra le altre cose, anche paura. I giudizi trovano il loro terreno fertile nell’ego e si nutrono di emozioni ‘negative’ come rabbia e paura. Il discernimento esprime invece un opinione o un sentire che si basa su un dato di fatto. Quindi è qualcosa di estremamente concreto e non in opposizione a qualcuno o qualcosa o anche a noi stessi. Siamo costantemente immersi nel giudizio e molta della nostra sofferenza è generata proprio dalla difficoltà a comprendere la differenza tra il giudizio e il discernimento. Come possiamo superare la paura del giudizio? Come possiamo smettere di giudicare e di giudicarci? Imparando a fare discernimento sul giudizio e prendendo quello che c’è di costruttivo dal giudizio. Che indicazioni ci sono nel giudizio per migliorare? Cosa mi dice di me il giudizio che tanto mi ferisce? Di cosa ho paura? Cosa sento nel corpo quando mi sento giudicato? Il punto di arrivo è imparare a disidentificarci dal giudizio e riconoscere che stiamo giudicando, in modo da illuminare il giudizio e togliergli il potere di farci cadere nella sofferenza. E tu, quanto sei consapevole dei tuoi giudizi?
da Antonio Quaglietta | Set 24, 2021 | Podcast, mente (podcast), relazioni (poscast)
La paura del giudizio degli altri spesso limita la nostra vita e il nostro benessere. Per paura del giudizio ci sentiamo insicuri, insoddisfatti di noi stessi e vulnerabili. Questa stessa paura ci impedisce di vivere pienamente la nostra vita, poiché ci blocca e ci imprigiona nell’immagine di noi che vogliamo mostrare agli altri. Ma cosa ci spinge ad avere tanta paura del giudizio altrui e cosa possiamo fare per superarla? Proviamo ad approfondire la tematica della paura del giudizio degli altri seguendo il metodo della meccanica, analizzandone i 4 pilastri: emozioni, convinzioni, bisogni e attenzione. *Emozioni: l’emozione predominante è la paura e subito dopo la paura c’è la rabbia. La paura si attiva in noi per una serie di motivi precisi: in quanto esseri umani, tra i nostri bisogni c’è quello di appartenere ad un gruppo e per paura di non essere parte, registriamo ogni giudizio come un allarme, come qualcosa che ci spinge fuori dal gruppo; si tratta sostanzialmente di paura dell’abbandono. Come possiamo intervenire? Il primo filtro da mettere è che noi possiamo decidere che quella paura non ha senso, non è utile in questo momento. Tra il giudizio dell’altro e l’ emozione che proviamo c’è la nostra elaborazione, la nostra interpretazione, che è determinata dalle nostre convinzioni. *convinzioni: le convinzioni sono i filtri attraverso cui noi interpretiamo la realtà. Nel caso del giudizio degli altri, le convinzioni più radicate sono relative al fatto che sia l’altro a poterci definire e che il nostro modo di leggere i fatti e gli eventi sia quello giusto e assolutamente vero. *bisogni: dietro alla paura del giudizio degli altri sono celati bisogni come quello di piacere a tutti, di accudimento, di essere accolti, di sentirsi parte, che possono tutti essere raggruppati nel più ampio bisogno di sicurezza. *attenzione: noi siamo laddove è la nostra attenzione. In base a dove focalizziamo la nostra attenzione, noteremo o meno i giudizi degli altri. Tutti e quattro questi pilastri sono collegati tra loro e funzionano in maniera sistemica. Lavorando sui pilastri singolarmente e trasversalmente, possiamo iniziare a modificare la relazione che abbiamo col giudizio e la paura ad esso legata. Lavorandoci su, possiamo renderci conto che dal giudizio ricaviamo la maschera che abbiamo e che più è alta la nostra tendenza a giudicare più siamo sensibili al giudizio degli altri verso di noi e di noi verso noi stessi. Quali sono le risorse per liberarci dalla paura del giudizio degli altri? *Accettare il giudizio, poichè è inevitabile. *Vedere l’emozione dell’altro e notare quale parte sta parlando *notare cosa aggancia in noi *Rigirare il giudizio e vedere quanto siamo anche noi nel giudizio *distinguere i tipi di giudizio e utilizzare il buono: ogni giudizi contiene una parte utile per noi. Quindi prendere il giudizio e vedere quale parte vera del giudizio possiamo utilizzare per la nostra crescita.
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