da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), mente (podcast), relazioni (poscast), struttura dell’amore (posdcast)
In questo video, attraverso l’intervista guidata da Assunta Corbo, amica, giornalista, autrice, ho toccato alcuni punti essenziali della mia vita. Ci sono esperienze che ci segnano, passaggi obbligati da attraversare, emozioni da vivere, sofferenze da elaborare. In questo video ho raccontato alcuni episodi, cercando di trasmettere l’insegnamento concreto che si può trarre dalla vita vissuta. Il lavoro su noi stessi non finisce mai; la personale conoscenza interiore può sempre essere approfondita; la crescita e le scoperte possono essere fonte di arricchimento per ognuno. Per questo ringrazio la mia amica Assunta Corbo per avermi guidato nel ripercorrere ricordi e scelte, per aver in modo leggero e allo stesso tempo delicato scavato nel mio passato e nel mio mondo privato, facendo emergere ancora una volta i miei valori e il mio impegno a portarli nel mondo. Riporto la risposta, per sottolinearne l’importanza per me, all’ultima domanda che mi ha fatto a conclusione dell’intervista: “Qual è stata la più grande lezione della vita?” La vita fin qui mi ha insegnato che senza relazioni e condivisione puoi avere tutto, ma sei destinato alla tristezza e alla rabbia. La relazione è lo spazio della vita, è quello spazio vitale in cui può avvenire la crescita. Quindi, relazioniamoci!
da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, relazioni (poscast)
Che cosa significa relazione difficile? Cosa vuol dire vivere relazioni difficili? Quali sono, invece, le relazioni facili? Le difficoltà sono in realtà l’essenza delle relazioni, sono insite nelle relazioni. Possiamo dire che non esistono relazioni che non abbiano difficoltà. Accade spesso però che individuiamo la difficoltà nell’altro: i problemi sono legati a come l’altro si comporta, a cosa dice, a come ci tratta…noi ci escludiamo come parte del problema e ci consideriamo solovittime. Questo ci impedisce di lavorare sulle nostre relazioni per superare le difficoltà. Ognuno di noi ha dei copioni relazionali ed agisce in base ad essi. I nostri copioni nascono dalla nostra paura, in particolare dalla paura di soffrire. Si tratta di una paura che si sviluppa nell’infanzia e che ci portiamo dietro, relegandola nell’inconscio, per la nostra vita. La paura di soffrire poi si trasforma in meccanismi di difesa. I sistemi di difesa alimentano le convinzioni. Quindi i nostri comportamenti sono conseguenza di queste convinzioni inconsce dettate dalla paura e dai sistemi di difesa. La nostra paura di soffrire che origina tutto questo sistema è un muro per la nostra libertà di espressione, però più abbiamo paura, meno ci esprimiamo e più soffriamo. Alimentare la nostra paura, alimenta la nostre sofferenza. Il punto di partenza necessario per poter iniziare un lavoro di consapevolezza su noi stessi rispetto a questi meccanismi è iniziare a vedere i nostri copioni, i nostri schemi ripetitivi e successivamente capire quali sono le difese che alziamo ed infine arrivare a comprendere quali sono le nostre convinzioni di fondo inconsce. Possiamo vivere le nostre relazioni difficili come un’opportunità per lavorare su noi stessi e come grande possibilità di evolvere. Le nostre relazioni possono essere sanate se siamo disposti a vivere una quota di sofferenza necessaria, a vivere l’esperienza della relazione ammettendo anche la possibilità di soffrire e di dover affrontare le difficoltà. E tu, quanto sei disposto a impegnarti nelle tue relazioni?
da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), mente (podcast), relazioni (poscast)
I desideri dell’ego sono tre: *aspettative: le aspettative sono idee su come la vita dovrebbe essere. Sono delle pretese. L’ego vive di proiezioni, non vive nel presente, ma vive di immagini mentali. Noi siamo pieni di aspettative. La cultura ci fornisce tutta una serie di immagini della nostra vita, impostate e predefinite, che ci aspettiamo (e pretendiamo) si realizzino esattamente come vogliamo noi. L’ego imposta, in questo modo, le delusioni perché basa la vita sulle illusioni. Le aspettative sono delle ambizioni, qualcosa che erroneamente crediamo dovrebbe e debba esserci garantito nel corso della vita. Questo ci procura sofferenza inutile, che nasce proprio dal conflitto, dallo scontro delle pretese egioche con la realtà. L’ ego non conosce la legge principale della vita, quella del causa-effetto e combatte con la realtà a causa di questo. *Ambizione alla felicità: paradosso: il desiderio di felicità origina rabbia e sofferenza perché il nostro ego ci fa mettere le sue regole alla felicità, i suoi vincoli…sarò felice se, solo quando…tutte le condizioni che mettiamo alla felicità la rendono impossibile. Inoltre noi vediamo la felicità come evitamento del dolore e quindi diventa impossibile da realizzare, perché è impossibile eliminare il dolore. L’ego prende la realtà, la divide in due, e vuole, senza sforzo, raggiungere la felicità, l’amore, eliminando la sofferenza. L’ego si aspetta la felicità all’esterno. Scarica la responsabilità sull’altro se non raggiunge questa felicità. Possiamo aspirare, ambire alla felicità, staccandoci però dall’IDEA della felicità che ci siamo creati. *Autostima: è un giudizio su noi stessi, una costante valutazione su noi stessi, che facciamo dipendere dalla considerazione che gli altri ci danno. L’ego vive per essere applaudito, osannato dall’altro, vive di riflesso al riconoscimento che ottiene e se questo gli viene a mancare si sente fallito. Il fallimento rappresenta per l’ego una esperienza drammatica, perché mina l’immagine ideale di noi stessi che abbiamo creato, dando origine alla nostra maschera, alla quale l’ego è molto attaccato. In che modo possiamo illuminare il nostro ego? Possiamo farlo praticando la flessibilità (riconoscendo le nostre rigidità), il non attaccamento (capacità a lasciar andare), l’accettazione e l’apertura (la capacità ad accogliere la vita per come è, non per come immaginiamo che debba essere), il vivere nel presente. Chiediamoci: vogliamo continuare a vivere sotto il dominio del nostro ego oppure vogliamo iniziare a vederlo?
da Antonio Quaglietta | Set 16, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Quante volte ci è capitato di guardare all’altro e metterci a paragone con lui? E quante volte questo ha generato in noi un sentimento di frustrazione e rabbia, di invidia? Come possiamo superare l’invidia? L’ invidia è un’ emozione secondaria che ogni essere umano prova. Spesso notiamo quando siamo oggetto di invidia per gli altri, ma è più difficile notare quando siamo noi a fare degli altri oggetto della nostra invidia. Infatti l’invidia è una di quelle emozioni che fatichiamo a riconoscere e a riconoscerci come nostra, poiché le attribuiamo un significato negativo. In realtà è un’emozione umana, che ognuno prova e, come ogni cosa che fa parte dell’umano, se non la vediamo e la riconosciamo, lavora dentro di noi e ritorna sempre più forte. Il primo passo fondamentale è proprio imparare a riconoscere la nostra invidia. Cosa è l’invidia? È un’emozione secondaria che si compone di diverse emozioni, caratterizzata da una concentrazione sull’esterno e sull’altra persona, da una percezione che l’altro abbia qualcosa di importante che noi non abbiamo, dalla percezione di una mancanza in noi, che provoca dentro di noi tristezza; a questo si aggiunge l’idea di subire un’ingiustizia (l’altro si ed io no) e quindi proviamo rabbia; poi spesso accade che proviamo anche un senso di impotenza, perché crediamo che noi non potremo mai essere come l’altro o avere quello che lui ha, e quindi esce la paura, o meglio le paure, paura di essere inferiori, amabili, bravi come….etc. Cosa possiamo fare? Come possiamo lavorare in modo costruttivo con la nostra invidia? Ci sono 3 possibili vie d’uscita dall’invidia, 3 passi per superare l’invidia: *Vedere la proiezione: proiettare vuol dire non voler vedere i nostri lati d’ombra e attribuirli all’altro, sia le cose negative sia quelle positive. Divenire consapevoli del fatto che noi invidiamo l’altro e accorgerci del significato che attribuiamo all’invidia, può essere propulsore di un cambiamento di atteggiamento e ci può aiutare a trasformare la nostra invidia in ammirazione. Ciò che invidiamo è un simbolo. *Trovare le nostre risorse: cosa simboleggia ciò che invidi? È necessario vedere ciò che invidiamo e analizzarlo, andare a fondo di ciò che significa per noi e renderlo esplicito. È importante capire il valore che inseguiamo e quali risorse possiamo attivare per raggiungerlo. *Empatia e ammirazione: per superare l’invidia è necessario cambiare stato di coscienza. Occorre cioè lavorare sui pensieri, emozioni, sentimenti che ci impediscono di empatizzare nella gioia. Prestare attenzione a questi punti non significa eliminare l’invidia, ma impareremo ad avere un occhio più attento e allenato a riconoscere l’invidia ed impareremo a gestirla. Cambierà la nostra relazione con l’invidia. E tu, che relazione hai con l’invidia?
da Antonio Quaglietta | Giu 18, 2021 | Podcast, relazioni (poscast)
Quanto conosci te stesso? Conoscere se stessi significa innanzitutto essere consapevoli del proprio mondo interno, di ciò che accade dentro di noi, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e dei nostri bisogni. La conoscenza di se è in assoluto un prerequisito per migliorare, possiamo migliorare solo ciò che conosciamo. Jung ha detto: “Chi guarda fuori sogna. Chi guarda dentro si sveglia” Che vuol dire? Spesso noi parliamo di sogni immaginando qualcosa di bello, romantico e piacevole; in realtà molto spesso parlare di guardare fuori, guardare all’esterno di noi stessi, coincide con qualcosa che assomiglia più ad un incubo che ad un sogno: Ci diciamo che la vita non va bene, che le cose ci capitano, che ci sono le ingiustizie, che gli altri sono migliori o peggiori di noi, etc. Lo sguardo è sempre rivolto fuori, verso l’esterno, verso l’altro.. Chi si guarda dentro inizia, invece, a vedere come lui stesso costruisce quello che poi vive. Quando iniziamo a guardarci dentro cominciano ad attivarsi in noi le difese, prima tra tutte le proiezione, per la quale siamo spinti ancora una volta a stare “fuori” di noi. Guardarsi dentro non è un fatto naturale e culturalmente è un fatto quasi deriso. Ma è fondamentale per conoscere se stessi. Guardare dentro significa vedere come costruiamo la realtà, come reagiamo agli stimoli esterni e come queste reazioni si riflettano poi nel nostro mondo interno. L’esterno non possiamo cambiarlo; possiamo però imparare a gestire l’interno. Quali sono i tre passi per conoscere se stessi? Le tre vie per conoscersi sono: 1- Ascolto di sé: è fondamentale per conoscersi: come possiamo conoscerci senza ascoltarci? C’è una notevole differenza tra stare tutto in esterna o stare con se stessi. All’inizio, quando cominciamo a frequentare il nostro mondo interno, c’è tanto rumore e confusione, ma poi possiamo imparare a distaccarci da quel rumore, iniziare a distinguere, a sentire cosa passa nel nostro mondo. Se non ci ascoltiamo, non possiamo percepire i nostri pensieri, i nostri bisogni, le nostre emozioni. ma per potere ascoltare ed ascoltarci dobbiamo fare silenzio. 2- Consapevolezza: finchè non portiamo a consapevolezza ciò che è inconsapevole siamo automatici, siamo meccanici. E, di conseguenza, non sappiamo gestire il nostro mondo interno. Conoscere se stessi richiede quindi consapevolezza e ci permette di gestirlo. 3- Le relazioni: si cresce nelle relazioni perché le relazioni ci danno la possibilità di vedere ciò che non vogliamo vedere, di rispecchiarci in modo che da soli non possiamo fare. Nelle relazioni intime sono sollecitate tante parti di noi e quindi emergono tante parti di noi. Quando noi diventiamo più consapevole possiamo iniziare a gestire i nostri automatismi e reattività. E tu, quanto conosci te stesso?
da Antonio Quaglietta | Giu 4, 2021 | Podcast, emozioni (posdcast), relazioni (poscast)
Con Roberta Cazzaniga, osteopata e fisioterapista, affrontiamo l’argomento analizzandolo non soltanto da un punto di vista psicologico, ma anche dal punto di vista fisico, approfondendone la natura psicosomatica e la relazione tra la mente e il corpo nella gestione del dolore. Il dolore non è qualcosa di uniforme, ma ha tante sfaccettature, cioè esistono tanti tipi di dolore. Il dolore ha molteplici forme, ma per cultura tendiamo ad appiattire le sfumature del dolore e arriviamo a considerare che tutti i dolori sono uguali. Quando entriamo in contatto con il dolore vogliamo che passi. E anche l’atteggiamento complessivo della società è quello di voler eliminare qualsiasi forma di sofferenza perché vuole avere benessere. Infatti la persona è considerata sana se non prova dolore. In realtà non può essere sempre così. Tra i diversi tipi di dolore possiamo riscontrarne uno per cui, nonostante tutti i tessuti siano intatti, sentiamo comunque il dolore. Si tratta di una alterazione della plasticità neuronale. È un dolore in assenza di danni strutturali, ma comunque un dolore fisico. Il dolore fisico è una percezione corporea che abbiamo, legata ad una sensazione fisica. Successivamente la elaboriamo con la mente, e in qualche modo, più o meno consapevole, noi decidiamo come vivere quella esperienza. Ci sentiamo sbagliati perché proviamo dolore? Sentiamo di aver subito un ingiustizia e proviamo rabbia? Vogliamo scacciarlo e basta? Vogliamo risolvere? Vogliamo solo trovare un colpevole? La sofferenza è diversa dal dolore: è il dolore sul dolore. E si può legare al dolore emotivo, psicologico. Molta della nostra sofferenza è collegata proprio al modo con cui decidiamo di affrontare il nostro dolore. Quanto siamo consapevoli dei nostri bisogni nell’esperienza di dolore che viviamo? Quanto siamo in contatto con le nostre emozioni? Quali sono le nostre convinzioni rispetto alla situazione di dolore e sofferenza che stiamo vivendo? Dove è focalizzata la nostra attenzione? Ecco che, ancora una volta, con la meccanica delle relazioni si possono approfondire tutti questi aspetti necessari a venire a capo delle nostre sofferenze. Se non abbiamo cognizione dei bisogni, delle nostre emozioni, delle convinzioni e di dove è la nostra attenzione, sarà difficile riuscire a gestire il dolore. Anche lì ci vuole la responsabilità di decidere di fare un lavoro sul proprio dolore e su ciò che ad esso si ricollega conseguenzialmente: la sofferenza psicologica e la sofferenza relazionale. Il primo passaggio è quello di mostrare il dolore, imparare ad esplicitare ciò che viviamo, assumendoci anche il rischio di incomprensione, di mancata empatia da parte dell’altro, di solitudine. Partendo dal riconoscimento dei nostri bisogni, possiamo quindi mostrarli all’altro e fare ciò che possiamo concretamente.
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