Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni La sofferenza è una spia che si accende che ci indica che c’è un problema. La sofferenza, però, è una spia aspecifica, è un indicatore che c’è qualcosa da modificare, perché il sistema non è in equilibrio. In che modo la sofferenza è legata al problema? E come possiamo trovare delle soluzioni al nostro problema, andando oltre la sofferenza? Innanzitutto, per poter definire il problema in modo concreto e preciso, va distinta la sofferenza necessaria da quella inutile e avere così un primo indicatore. La vita cambia e bisogna adattarsi. questo adattamento ci richiede uno sforzo e noi andiamo in stress. La sofferenza necessaria ci fa crescere, ci fa diventare intelligenti; nella ricerca di soluzioni al problema, impariamo qualcosa in modo naturale. Affrontando i problemi, quindi, cresciamo, impariamo, che vuol dire che evolviamo. La sofferenza, infatti, è strumentale all’evoluzione. Quando alla sofferenza necessaria sovrapponiamo l’attività della mente, i giudizi, i non è giusto, ci lamentiamo, andiamo in stress e tutto ciò ci impedisce di crescere. La sofferenza, quindi, è la spia che indica un PROBLEMA. il problema è una perturbazione di un sistema che non gli permette di essere nell’equilibrio migliore. Tuttavia, se c’è un problema, ci sono delle soluzioni. Noi spesso pensiamo che le soluzioni siano riportare il sistema all’equilibrio (soluzione riparativa: si aggiusta qualcosa). Però c’è una regola nella vita: non è possibile tornare indietro. Bisogna trovare un nuovo equilibrio. La soluzione è un nuovo equilibrio: la vita ci chiede di modificare qualcosa per cercare un nuovo equilibrio funzionale. Soluzione vuole dire modificare, vuol dire cambiamento. Ci sono però degli impedimenti. Spesso ci fermiamo alla sofferenza, senza riuscire ad andare oltre la sofferenza stessa: ci lamentiamo e ci crogioliamo, senza nemmeno riuscire ad individuare il problema. Quando, invece, riusciamo ad individuare il problema possiamo incappare in un altro impedimento: neghiamo il problema. non agendo quando dovremmo agire. Oppure, ci può capitare di agire quando non dovremmo agire. Questo genera un conflitto: seguiamo i nostri bisogni, l’altro non lo vediamo proprio. Un altro impedimento è il riflettere costantemente sul problema: iniziamo a pensare sul problema, a cercare le cause, a voler capire come funziona, capire i perché. Però, per riuscire a superare la sofferenza, è necessario capire che il comportamento umano non ha solo una causa. La convinzione che se trovi la causa trovi la soluzione è di tipo psicanalitico, ma è una concezione culturale, che ha grossi limiti e non ha riscontri nella realtà. cercare le cause nel passato, non risolve, non da’ indicazioni su come risolvere i problemi.se non modifichiamo qualcosa nel presente, non serve pensare al passato. Per andare oltre la sofferenza, quindi, e trovare soluzioni al problema, occorre innanzitutto definire il problema, quindi non cercare le cause nel passato, ma vedere come le variabili in modo sistemico si influenzano tra di loro. E che spesso, modificando una variabile, si modifica l’intero sistema e si arriva alla soluzione del problema e, quindi, al superamento della sofferenza.
Come conoscere se stessi?

Come conoscere se stessi?

Come conoscere se stessi? Come prendere consapevolezza di se? In questa diretta Antonio Quaglietta mostra i principali passaggi e le risorse necessarie per costruire la nostra personalità adulta. Conoscere se stessi, significa costruire una maggiore consapevolezza di se che ci porti dalla paura infantile alla fiducia. Imparando a conoscerci sempre più a fondo, vediamo che la personalità adulta è quella che sa affrontare l’ambiente con le sue difficoltà, regge la frustrazione e ne fa una risorsa per affinare le proprie capacità. Chi si conosce e d è consapevole di sé affronta la solitudine e la sofferenze che ne consegue. L’adulto ha fiducia in se. La nostra parte adulta accresce la fiducia in se proprio grazie alla consapevolezza di se e delle proprie risorse ed esce così dallo stato infantile di dipendenza. Il passaggio dallo stato bambino a quello adulto è un passaggio necessario per non rimanere ingabbiati nelle nostre paure, ansie e scarsa fiducia in noi stessi. È il passaggio che ci permette di guardaci, accettarci, conoscerci sempre meglio e prendere la consapevolezza matura di se stessi. Spesso le relazioni si complicano e le relazioni vanno in crisi perché non riusciamo a vedere le nostre reazioni bambine e i nostri bisogni infantili. I bisogni infantili nella coppia come in ogni nostra relazione, se non resi consapevoli possono davvero rovinarla. Il passaggio finale è quello di diventare genitori, genitori di se stessi, cioè persone in grado di occuparsi delle proprie parti piccole e doloranti. La massima consapevolezza di se stessi, la conoscenza approfondita di se si ha proprio nella relazione di amore. Quando diventiamo donativi e in grado di occuparci di un altro abbiamo la piena consapevolezza di noi, solo nell’amore impariamo a conoscerci davvero. Consapevolezza di se stessi e conoscenza di se sono un viaggio, non una meta.
Fiducia: fidati e affidati al tuo sentire

Fiducia: fidati e affidati al tuo sentire

Fiducia: fidati e affidati al tuo sentire Come ti relazioni agli altri? Ti affidi al tuo sentire? La fiducia è un elemento delle tue relazioni? Fidati del tuo sentire ed affidati ad esso! Nelle relazioni è necessario imparare a stare attenti a chiedere e a non pretendere che l’altro faccia ciò che noi vogliamo. E a parlare di noi. Il primo passo è l’ascolto. sull’ascolto su può costruire una relazione di fiducia. Se dico: ‘è scontato che se io penso che tu debba lasciare il cellulare vuol dire che io penso che tu debba farlo’ devo fare attenzione, perché questa è una pretesa sul comportamento altrui. Invece dire: ‘io mi sento abbandonata mente tu passi molto tempo al cellulare, che ne diresti di lasciarlo e stare un po’ insieme?’ è una frase e una modalità completamente diversa. Parlare di noi significa, innanzitutto, ascoltarci. Se io mi ascolto, riesco a comprendere quali sono i miei bisogni e, quindi, posso comunicarli all’altro, in modo chiaro e senza pretese. Certamente c’è il rischio di un rifiuto, di una delusione delle nostre richieste ed aspettative. Ma vale comunque la pena fare il tentativo di aprirci alla fiducia e iniziare a fidarci e affidarci al nostro sentire. Ne avremo in contraccambio, innanzitutto, l’acquisizione della capacità di apertura. E potremo piacevolmente scoprire che, molto spesso, la fiducia è ricambiata con la fiducia e quindi si creano legami più intimi e profondi. E tu, quanto sei aperto alla fiducia? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice? Tu non mi capisci! Tu non mi stai accettando! Tu non mi comprendi! Quante volte ci capita di utilizzare questo linguaggio nei nostri conflitti? Spostiamo sull’altro la responsabilità del conflitto, difendendo le nostre ragioni ad ogni costo. Ma vogliamo avere ragione o essere felici? Quando ci relazioniamo agli altri, soprattutto nei conflitti, tendiamo a voler avere ragione e ad imporre all’altro la nostra visione delle situazioni. Ogni accusa che rivolgiamo all’altro, però, possiamo allo stesso modo rivolgerla a noi stessi. E’ sempre di noi che si parla! Utilizzando le domande sul rigiro del lavoro di Byron Katie possiamo arrivare a comprendere che quando vogliamo difendere le nostre ragioni, quando vogliamo esercitare potere e controllo sull’altro, accusandolo, stiamo in realtà definendo noi stessi.. Crediamo di avere ragione, senza ascoltare realmente le ragioni dell’altro, e lo accusiamo di avere certi atteggiamenti negativi che sono gli stessi che abbiamo noi e che non vediamo. Questo modo di fare va a discapito della nostra felicità. Questo ci rende davvero felici? Questo modo di comportarci ci aiuta a sviluppare realmente la nostra felicità? E’ davvero importante avere torto o avere ragione? E tu, vuoi avere ragione o essere felice? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Ascoltare non è sentire!

Ascoltare non è sentire!

Ascoltare non è sentire! Cosa significa ascoltare? Cosa, invece, sentire? Cosa è l’ascolto? Qual è la differenza tra ascoltare e sentire? Qual è il modo migliore per ascoltare? Quali sono le difficoltà di ascolto? Ascoltare gli altri vuol dire stare in maniera profonda con un’altra persona. Spesso incontriamo notevoli difficoltà di ascolto, perché la mente ha difficoltà a restare attenta. Quindi il meccanismo che la mente mette in atto si concretizza in due possibilità: o la mente aggancia i significati delle parole e ci riporta alla nostra esperienza personale, quindi non ascolta, si limita a sentire quello che ci viene raccontato; oppure, altre volte, succede che partiamo per un viaggio interno: cioè, non interrompiamo l’altro, sembra che siamo in ascolto ma in realtà si attiva il nostro dialogo interno, che ci distoglie e allontana dalla persona che abbiamo di fronte e ci sta parlando. Questo non ci permette di ascoltare gli altri veramente, né di restare in ascolto di se stessi. Ascoltare non è sentire! La difficoltà di ascolto si manifesta come distrazione di una mente non focalizzata, che procede per link: si aprono tante finestre che non c’entrano nulla con quello che la persona che stiamo ‘ascoltando’ sta dicendo. Quando accade ciò, sentiamo qualcosa e lo agganciamo ai nostri vissuti e significati e, nel dialogo interno, ci distraiamo e, magari, iniziamo a giudicarci perché ci siamo distratti: questo è il gioco dell’ego! Per tornare all’ascolto, è necessario renderci consapevoli di questo meccanismo e, respirando, tornare all’ascolto, imparando a gestire la nostra attenzione e a dirigerla in modo consapevole. Imparare a gestire l’attenzione non significa che non ci distraiamo mai, ma che possiamo tornare all’ascolto. Quando impariamo a padroneggiare l’attenzione, sappiamo dirigerla davvero. E tu, ascolti o senti? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Perché non ti ami?

Perché non ti ami?

Amare se stessi, ok, ma come amare se stessi è il quesito più importante. Amore di se stessi. Perché non ci amiamo? Ama te stesso sembra un imperativo per accrescere il benessere psicologico. La domanda è come iniziare ad amare se stessi? Certamente volersi bene e coltivare l’amore di se stessi è possibile solo nella libertà. La libertà, però, non è scegliere tra sì e no, giusto e sbagliato, vero e falso, che è quello che ci insegnano, quando sei di fronte a un bivio sei già un uomo macchina. In questo video, Antonio Quaglietta, psicologo relazionale, mostra come l’amore di se stessi è una conquista che passa attraverso la consapevolezza di se. Uno degli ambiti in cui prendere consapevolezza di se e verificare quanto siamo in grado di amare noi stessi sono le scelte, piccole e grandi che facciamo. Esistono tre tipi di uomini: gli uomini schiavi, (…) ognuno di noi quando è nella reattività è un uomo schiavo, cioè non riesci a non fare una cosa; (…) poi esistono gli uomini macchina, quelli che in una situazione possono scegliere in maniera dicotomica tra sì e no; (…) poi esistono gli uomini liberi, che sono quelli che di fronte a ogni situazione hanno sempre almeno tre possibilità. Gli uomini liberi sono quelli che hanno consapevolezza di se stessi e sono in grado avere amore di se stessi. Noi contribuiamo alla felicità degli altri essendo felici. Solo l’amore di se stessi permette di amare gli altri. Ci hanno insegnato qualcosa che non è vera: (…) non è soffrendo per la sofferenza degli altri e moltiplicando la sofferenza che noi aiutiamo gli altri, è dando un esempio di luce che noi dissipiamo le tenebre in chi sta vicino a noi. E la luce arriva solo dalla consapevolezza di se stessi e ancor di più dall’amore di se stessi. Volersi bene è dunque importante per noi e per gli altri. Se persino, Dio, il Tutto deve rispettare la tua libertà, ma perché io non devo rispettare la tua come altro essere? Lo scopo di ogni essere umano è stare bene, amarsi ed essere felice! (…) avere consapevolezza di sé, avere amore di se stessi è la precondizione: Io posso stare bene ed essere felice includendo gli altri! Se non sei performante, se non fai bene le cose, che sei nata a fare? Questa è la convinzione base che guida tutta la nostra società? In queste convinzioni non c’è amore di se stessi né consapevolezza di sé. (…) Ci raccontano che se siamo performanti, se facciamo tutto bene, se siamo di successo, se siamo ammirati dagli altri staremo bene, poi che senti dentro? Non ti basta mai, non senti comunque e pensi che non è abbastanza e continui a correre, ma corri in una ruota! Poi capita che (…) guardi il mare (…) e senti un benessere che non hai provato negli ultimi sei mesi. Perché è nell’amore di se stessi che dimora il benessere psicologico e la felicità. Volersi bene significa proprio sapere stare con se stessi senza giudizio. Se un essere umano è ridotto a ‘se non produco mi butto via’ , cioè non valgo, non esisto, non sono degno di amore è solo perché ci hanno condizionato a questo. Imparare ad avere amore di se stessi , volersi bene, prendere consapevolezza di se stessi e liberamente scegliere è la vera sfida.