Che tipo di comunicazione hai con te stesso?

Che tipo di comunicazione hai con te stesso?

Che tipo di comunicazione hai con te stesso? Ognuno di noi attiva, a seconda delle circostanze, un tipo di comunicazione specifica, un proprio stile comunicativo. Quando abbiamo un dialogo con qualcuno, è necessario adeguare il linguaggio alla persona che abbiamo difronte. E il tipo di linguaggio che utilizziamo è lo specchio del tipo di comunicazione che abbiamo con noi stessi. Se volete aiutare voi stessi è necessario, quindi, adeguare il linguaggio che usiamo appunto con noi stessi: se stiamo parlando alle nostre parti – parlo di dialogo intrapersonale – spesso noi cerchiamo di convincere una nostra parte piccola con il ragionamento di una nostra parte adulta, senza renderci conto che il bambino ha un linguaggio molto più semplice. Fateci caso, notate cosa accade dentro di voi, perché come comunichiamo all’interno così tendiamo a comunicare all’esterno. Nella comunicazione intrapersonale, come anche nella comunicazione interpersonale, un aspetto basilare è l’ascolto.Di solito ci capita che, invece di dare ascolto, noi offriamo soluzioni e giudizi. Mentre chi ci chiede ascolto ha solo bisogno di uno spazio di non giudizio. Noi, invece, diamo la soluzione per sentirci up, per sentirci bravi; dare soluzioni è un modo più raffinato per giudicare un altra persona. Sospendere il giudizio, al contrario, vuol dire concentrarsi sull’altro, sentire il suo vissuto, e si può fare solo se ci consideriamo umani come l’altro. Un ascolto non giudicante, un dialogo non giudicante, ci consentono di sospendere il giudizio anche verso noi stessi. E questa è la base di una buona comunicazione. E tu, che tipo di comunicazione hai con te stesso? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Scopri chi sei veramente oltre i tuoi pensieri

Scopri chi sei veramente oltre i tuoi pensieri

Scopri chi sei veramente oltre i tuoi pensieri Chi sei oltre i tuoi pensieri? Rivela la verità su te stesso. Chi sei veramente? Spesso abbiamo pensieri costanti e ricorrenti, nei quali ci identifichiamo e sui quali costruiamo la nostra storia. Fondamentale è riscoprire quello che noi siamo oltre la mente, oltre i nostri pensieri, capire che la mente è uno strumento e che ha due possibilità: uno è essere utilizzata da noi come un computer, ed è uno strumento meraviglioso. Spesso dobbiamo gestire pensieri automatici negativi, dobbiamo gestire i pensieri ossessivi. La mente è lo strumento migliore che abbiamo per certi fini, quando la utilizziamo consapevolmente. Scoprire chi sei veramente, rivelare la verità su te stesso, non può prescindere dalla gestione dei pensieri che è il limite più grande alla conoscenza di sé. Prendere consapevolezza di sé significa rendersi consapevoli dei pensieri automatici negativi e andare oltre questi. Inoltre, la seconda possibilità, è considerare che, è quando la mente inizia a usare noi e non viceversa che la cosa si complica. The work di Byron Katie, il lavoro, ci aiuta notevolmente in questo nostro compito. Byron Katie infatti mostra come andare oltre i pensieri ossessivi per rintracciare quella profonda consapevolezza di sé che rivela la verità su noi stesso, che ci fa riscoprire chi siamo veramente. La domanda è: vuoi davvero conoscerti? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Tu non sei i tuoi pensieri!

Tu non sei i tuoi pensieri!

Tu non sei i tuoi pensieri! Quante volte ci capita di avere dei pensieri costanti e ricorrenti? Quante volte rimaniamo fissati in questo tipo di pensieri? Che valore diamo ai nostri pensieri? I pensieri che ricorrono in noi diventano la nostra storia e noi crediamo alla nostra storia come a qualcosa di assolutamente vero. Ma non sempre è così! La nostra storia è frutto dei nostri pensieri. Possiamo, però, andare a fondo della nostra storia imparando ad indagare i nostri pensieri, andando oltre la mente, attraverso le domande del lavoro di Byron Katie. Possiamo partire nell’indagine dei nostri pensieri dalla storia che ci raccontiamo e porci queste domande: analizzando i pensieri ci chiediamo, in riferimento ad un pensiero alla volta: questo pensiero è vero? posso dire con assoluta certezza che è vero? cosa provo quando credo a quel pensiero? chi sarei senza questo pensiero? Indagando i pensieri attraverso queste domande del lavoro di Byron Katie impariamo a sentire la differenza tra la verità e i nostri pensieri e riusciamo a divenire consapevoli degli effetti dei nostri pensieri. Bisogna sempre portare l’attenzione a cosa sentiamo, perché ogni pensiero produce un cambio fisiologico e delle emozioni e delle sensazioni specifiche. Gradualmente impareremo a disidentificarci dai nostri pensieri e ad andare oltre la fiducia che accordiamo alla nostra mente. E tu, chi sei oltre i tuoi pensieri? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Proiezione: quali parti di me non vedo?

Proiezione: quali parti di me non vedo?

Proiezione: quali parti di me non vedo? Cosa è la proiezione? Quali sono le mie parti interne che non vedo, che non riesco a vedere? Come funziona il meccanismo della proiezione? Potenzialmente siamo l’infinito. Ma, poiché il concetto stesso di infinito è di difficile comprensione per noi essere umani, per capire chi siamo, abbiamo bisogno di definirci. E per farlo, molto spesso, ricorriamo inconsciamente, al meccanismo della proiezione: abbiamo bisogno di parametri di valutazione circoscritti e limitati per poterci definire, in quanto riusciamo a vedere di noi solo una piccolissima parte del nostro essere infinito. Ma che fine fanno gli altri pezzi? Vanno sugli altri. Attraverso il meccanismo della proiezione, sia positiva che negativa, li proiettiamo, appunto, sugli altri, come un qualcosa che a noi non appartiene. Con il lavoro di Byron Katie possiamo iniziare a renderci consapevoli delle nostre dinamiche proiettive e lavorare sulla proiezione. Su chi proiettiamo ciò che non vediamo in noi? Quando non vogliamo vedere quello che abbiamo dentro, sia le parti ‘belle’, quelle luminose, sia le parti più ‘cupe’, tendiamo a proiettarle sull’altro. La domanda che dobbiamo iniziare a porci è: quando attiviamo il meccanismo della proiezione? Pensate a quando siamo innamorati, in questa occasione proiettiamo sull’altro tutto ciò che di bello non riusciamo a vedere in noi. E quando, invece, proiettiamo le nostre parti più cupe? Quando accusiamo l’altro, quando ci arrabbiamo con l’altro, quando parliamo male dell’altro. Nel lavoro di Byron Katie impariamo a fare un lavoro diverso, che ci aiuta a renderci consapevoli della proiezione che mettiamo in atto e in che modo possiamo integrare anche le parti che pensiamo non ci appartengano. E tu, su chi proietti chi ciò che non vedi in te? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice? Tu non mi capisci! Tu non mi stai accettando! Tu non mi comprendi! Quante volte ci capita di utilizzare questo linguaggio nei nostri conflitti? Spostiamo sull’altro la responsabilità del conflitto, difendendo le nostre ragioni ad ogni costo. Ma vogliamo avere ragione o essere felici? Quando ci relazioniamo agli altri, soprattutto nei conflitti, tendiamo a voler avere ragione e ad imporre all’altro la nostra visione delle situazioni. Ogni accusa che rivolgiamo all’altro, però, possiamo allo stesso modo rivolgerla a noi stessi. E’ sempre di noi che si parla! Utilizzando le domande sul rigiro del lavoro di Byron Katie possiamo arrivare a comprendere che quando vogliamo difendere le nostre ragioni, quando vogliamo esercitare potere e controllo sull’altro, accusandolo, stiamo in realtà definendo noi stessi.. Crediamo di avere ragione, senza ascoltare realmente le ragioni dell’altro, e lo accusiamo di avere certi atteggiamenti negativi che sono gli stessi che abbiamo noi e che non vediamo. Questo modo di fare va a discapito della nostra felicità. Questo ci rende davvero felici? Questo modo di comportarci ci aiuta a sviluppare realmente la nostra felicità? E’ davvero importante avere torto o avere ragione? E tu, vuoi avere ragione o essere felice? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo? Cosa è l’ascolto? Quando l’ascolto è profondo? Come faccio a capire che sono in un processo di ascolto profondo? Siamo capaci di ascolto? Se ognuno ascolta se stesso, la risposta non è così semplice e scontata come può sembrare. L’ascolto è un processo, qualcosa di dinamico, un’attività, che appunto procede da un punto verso un altro punto. L’ascolto profondo richiede un ulteriore impegno. Quello di entrare in contatto, innanzitutto con noi stessi, andando oltre il nostro ego. Quando diamo ascolto al nostro ego, mettiamo in pratica il nostro copione, che si incontra (e scontra) con il copione dell’altro: ego contro ego, copione contro copione, l’ascolto diventa impossibile. Per spezzare questo meccanismo è necessario entrare in ascolto profondo, che non significa semplicemente ascoltare le parole dell’altro, ma anche i suoi silenzi, i suoi occhi. Nel processo di ascolto, andando oltre l’ego, io vado oltre il bisogno di approvazione, di ammirazione, di giudizio positivo dell’altro nei miei confronti; mi do il permesso di essere, di essere me stesso e, dando a me questo permesso, io lo do automaticamente anche all’altro. Così l’ascolto diventa uno scambio tra anima e anima, da cuore a cuore. E’ in questo modo che possiamo iniziare a vedere le persone per quello che realmente sono, senza scatenare il nostro ego contro l’ego dell’altro e andando oltre i copioni relazionali. E, concretamente cosa fare quando ascoltiamo? Quando vi viene questa domanda a parlare è l’ego, perché sente il bisogno di imparare a fare un’azione per poter dimostrare di saper ascoltare. Quando ascoltiamo dobbiamo semplicemente fare una sola azione: ascoltare! Quali sono le volte in cui hai fatto esperienza dell’ascolto profondo? Fammi sapere nei commenti, Antonio