Controllo di sè o spontaneità?

Controllo di sè o spontaneità?

Controllo di sè o spontaneità? Quanto controllo razionale c’è nel relazionarci agli altri? Quanta spontaneità, invece, mettiamo nelle nostre relazioni? La mente, attivando il controllo di sé, vuole trovare le parole giuste per presentare all’altro un personaggio che ci costruiamo: zero spontaneità, in favore della maschera e del controllo. Perché tutto questo controllo? Perché abbiamo paura di chi siamo e, con le parole, cerchiamo di controllare la nostra realtà e l’ immagine di noi che vogliamo dare agli altri. Questo, però, crea scissione dentro di noi e le nostre parti entrano in conflitto. Diventiamo quindi incoerenti. L’incoerenza interna si manifesta anche nella comunicazione, con un’ incongruenza comunicativa, che si mostra soprattutto col linguaggio non verbale. Per superare questa incoerenza ed andare oltre il controllo verso una maggiore spontaneità dobbiamo imparare ad essere trasparenti, ad essere veri. La vera crescita avviene, infatti, in un contesto di congruenza e verità. E tu, riesci a lasciare andare il controllo? Quanta spontaneità c’è nelle tue relazioni? Fammi sapere nei commenti, Antonio.
L’interpretazione dell’ego

L’interpretazione dell’ego

L’interpretazione dell’ego La maggior parte dei nostri conflitti non deriva da ciò che l’altro dice o fa, ma da quali significati il nostro ego attribuisce alle azioni e alle parole dell’altro. Diamo cioè un determinato significato ad un evento, una parola, in base all’interpretazione dell’ego. Ognuno di noi utilizza un linguaggio specifico, che consiste nella capacità di dotare di significato dei suoni. Questo linguaggio è strettamente legato alla nostra cultura e alle nostre esperienze. O meglio, il significato che diamo alle parole che utilizziamo è frutto delle esperienze che abbiamo vissuto e del contesto in cui siamo cresciuti. Ogni volta che una persona ha un comportamento, dice una parola, ci guarda in un modo, il nostro ego, che lo vogliamo o meno, dà un significato che dipende da tutto quello che abbiamo vissuto, dal nostro passato. Diamo significati in base all’interpretazione dell’ego, che è figlia della nostra esperienza. Allora ascoltare attivamente significa cercare il significato che dà chi sta parlando, prima di quello del nostro ego. Ascoltare attivamente una persona vuol dire chiederci (o chiedere direttamente all’altro) cosa significa per lui ciò che sta dicendo, non cosa significa per noi, che dipende dall’interpretazione del nostro ego. La mente, l’ego sposta sempre su di noi e personalizza; dà un’ interpretazione sulla relazione. Scoprire il gioco dell’ego significa capire che c’ è sempre un’interpretazione dell’ego a ciò che accade, che siamo noi a dare il significato. Ci sono, senza dubbio, diverse probabilità interpretative, ma interpretiamo sempre in base al nostro vissuto. Ascolto attivo significa fermarsi prima di interpretare e con delle domande pertinenti e specifiche andare più a fondo per arrivare al significato dell’altro e comprendere il suo vissuto. E tu, quanto sei consapevole che i tuoi significati sono frutto dell’interpretazione dell’ego? Fammi sapere nei commenti, Antonio.
Risolvere i conflitti: qual è il bisogno nel conflitto?

Risolvere i conflitti: qual è il bisogno nel conflitto?

Risolvere i conflitti: qual è il bisogno nel conflitto? Molto spesso ci capita di chiederci: come risolvere i conflitti? Come uscire dai conflitti? E la risposta non è così immediata, perché, a volte, nonostante le nostre buone intenzioni, non riusciamo a superare i conflitti; anzi, al contrario, li alimentiamo. In questo video, cerco di rispondere a queste domande, focalizzandomi su un aspetto fondamentale: il bisogno nel conflitto. Cosa succede? Perché non riusciamo a risolvere i conflitti? Quando siamo nel conflitto in coppia, sul lavoro, può accadere che non siamo in grado di gestire i conflitti, perché non riusciamo a percepire né a sentire il bisogno dell’altro: concentrandoci quasi esclusivamente sul nostro bisogno nel conflitto, non consideriamo quello dell’altro, che si sentirà attaccato e proverà a difendersi, mettendo in atto le sue strategie. Una buona gestione dei conflitti è possibile solo quando cominciamo a vedere che anche l’altro ha dei bisogni, che emergono proprio durante il conflitto: quando vediamo come ci comportiamo noi, iniziamo ad essere consapevoli di questo meccanismo e, con la consapevolezza, possiamo lavorare per imparare a risolvere i conflitti, rispondendo ai nostri bisogni e cominciando a cogliere anche quelli degli altri. qual è il tuo bisogno nel conflitto? Riesci a vedere anche quello dell’altro? Fammi sapere nei commenti. Antonio
Ascoltare non è sentire!

Ascoltare non è sentire!

Ascoltare non è sentire! Cosa significa ascoltare? Cosa, invece, sentire? Cosa è l’ascolto? Qual è la differenza tra ascoltare e sentire? Qual è il modo migliore per ascoltare? Quali sono le difficoltà di ascolto? Ascoltare gli altri vuol dire stare in maniera profonda con un’altra persona. Spesso incontriamo notevoli difficoltà di ascolto, perché la mente ha difficoltà a restare attenta. Quindi il meccanismo che la mente mette in atto si concretizza in due possibilità: o la mente aggancia i significati delle parole e ci riporta alla nostra esperienza personale, quindi non ascolta, si limita a sentire quello che ci viene raccontato; oppure, altre volte, succede che partiamo per un viaggio interno: cioè, non interrompiamo l’altro, sembra che siamo in ascolto ma in realtà si attiva il nostro dialogo interno, che ci distoglie e allontana dalla persona che abbiamo di fronte e ci sta parlando. Questo non ci permette di ascoltare gli altri veramente, né di restare in ascolto di se stessi. Ascoltare non è sentire! La difficoltà di ascolto si manifesta come distrazione di una mente non focalizzata, che procede per link: si aprono tante finestre che non c’entrano nulla con quello che la persona che stiamo ‘ascoltando’ sta dicendo. Quando accade ciò, sentiamo qualcosa e lo agganciamo ai nostri vissuti e significati e, nel dialogo interno, ci distraiamo e, magari, iniziamo a giudicarci perché ci siamo distratti: questo è il gioco dell’ego! Per tornare all’ascolto, è necessario renderci consapevoli di questo meccanismo e, respirando, tornare all’ascolto, imparando a gestire la nostra attenzione e a dirigerla in modo consapevole. Imparare a gestire l’attenzione non significa che non ci distraiamo mai, ma che possiamo tornare all’ascolto. Quando impariamo a padroneggiare l’attenzione, sappiamo dirigerla davvero. E tu, ascolti o senti? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni La sofferenza è una spia che si accende che ci indica che c’è un problema. La sofferenza, però, è una spia aspecifica, è un indicatore che c’è qualcosa da modificare, perché il sistema non è in equilibrio. In che modo la sofferenza è legata al problema? E come possiamo trovare delle soluzioni al nostro problema, andando oltre la sofferenza? Innanzitutto, per poter definire il problema in modo concreto e preciso, va distinta la sofferenza necessaria da quella inutile e avere così un primo indicatore. La vita cambia e bisogna adattarsi. questo adattamento ci richiede uno sforzo e noi andiamo in stress. La sofferenza necessaria ci fa crescere, ci fa diventare intelligenti; nella ricerca di soluzioni al problema, impariamo qualcosa in modo naturale. Affrontando i problemi, quindi, cresciamo, impariamo, che vuol dire che evolviamo. La sofferenza, infatti, è strumentale all’evoluzione. Quando alla sofferenza necessaria sovrapponiamo l’attività della mente, i giudizi, i non è giusto, ci lamentiamo, andiamo in stress e tutto ciò ci impedisce di crescere. La sofferenza, quindi, è la spia che indica un PROBLEMA. il problema è una perturbazione di un sistema che non gli permette di essere nell’equilibrio migliore. Tuttavia, se c’è un problema, ci sono delle soluzioni. Noi spesso pensiamo che le soluzioni siano riportare il sistema all’equilibrio (soluzione riparativa: si aggiusta qualcosa). Però c’è una regola nella vita: non è possibile tornare indietro. Bisogna trovare un nuovo equilibrio. La soluzione è un nuovo equilibrio: la vita ci chiede di modificare qualcosa per cercare un nuovo equilibrio funzionale. Soluzione vuole dire modificare, vuol dire cambiamento. Ci sono però degli impedimenti. Spesso ci fermiamo alla sofferenza, senza riuscire ad andare oltre la sofferenza stessa: ci lamentiamo e ci crogioliamo, senza nemmeno riuscire ad individuare il problema. Quando, invece, riusciamo ad individuare il problema possiamo incappare in un altro impedimento: neghiamo il problema. non agendo quando dovremmo agire. Oppure, ci può capitare di agire quando non dovremmo agire. Questo genera un conflitto: seguiamo i nostri bisogni, l’altro non lo vediamo proprio. Un altro impedimento è il riflettere costantemente sul problema: iniziamo a pensare sul problema, a cercare le cause, a voler capire come funziona, capire i perché. Però, per riuscire a superare la sofferenza, è necessario capire che il comportamento umano non ha solo una causa. La convinzione che se trovi la causa trovi la soluzione è di tipo psicanalitico, ma è una concezione culturale, che ha grossi limiti e non ha riscontri nella realtà. cercare le cause nel passato, non risolve, non da’ indicazioni su come risolvere i problemi.se non modifichiamo qualcosa nel presente, non serve pensare al passato. Per andare oltre la sofferenza, quindi, e trovare soluzioni al problema, occorre innanzitutto definire il problema, quindi non cercare le cause nel passato, ma vedere come le variabili in modo sistemico si influenzano tra di loro. E che spesso, modificando una variabile, si modifica l’intero sistema e si arriva alla soluzione del problema e, quindi, al superamento della sofferenza.
Cambiamento: voglio cambiare davvero?

Cambiamento: voglio cambiare davvero?

Cambiamento: voglio cambiare davvero? Cambiamento: basta voler cambiare, per riuscire a cambiare veramente? In questo video approfondiamo il tema del cambiamento, soffermandoci su uno dei suoi aspetti fondamentali: la concretezza. Cambiare si può! Il cambiamento è sempre concreto. Altrimenti, non è cambiamento. Se io dico ‘Voglio cambiare veramente’, ma penso solo alle grandi trasformazioni, a tutto quello che voglio cambiare dentro di me, sarò, con molta probabilità, spaventato dal cambiamento. Per superare la paura del cambiamento generata proprio da questo pensare in grande, è necessario focalizzare la propria attenzione sui piccoli cambiamenti concreti che possiamo attuare nella direzione del grande cambiamento che vogliamo ottenere. Se, ad esempio, ti manca la relazione con l’altro, qual è il più piccolo concreto cambiamento che puoi fare? Magari puoi fermarti con i colleghi per prendere insieme un caffè prima di iniziare a lavorare oppure chiamare la tua collega anche al di fuori dell’orario di lavoro. Occorre fare piccoli passi in direzione del cambiamento, che siano soprattutto caratterizzati dalla concretezza. Quali sono i piccoli gesti concreti che stai facendo per cambiare? Fammi sapere nei commenti, Antonio