Comunicazione: 4 passi per un dialogo efficace

Comunicazione: 4 passi per un dialogo efficace

Comunicazione: 4 passi per un dialogo efficace Quanto è importante imparare ad avere un buon dialogo? Quali sono i requisiti di una buona comunicazione? Quali sono gli elementi di una comunicazione efficace? Quali sono i requisiti di un buon dialogo, sia esso professionale o personale? Il primo è l’ascolto. Una persona che si sente ascoltata davvero, evolve da sola. Ma cosa significa ascoltare? Quando parliamo di comunicazione, sia che si tratti di comunicazione professionale (colloquio di counseling) sia che si tratti di comunicazione personale (ad esempio, un dialogo con un amico), dobbiamo partire dalla distinzione fondamentale tra relazione e contenuto della comunicazione. Prestare attenzione alla relazione significa cercare di comprendere ciò che prova il nostro interlocutore, andando oltre il contenuto, ovvero ciò che sta dicendo, dando origine ad una relazione sintonica (ci sintonizziamo sull’altro e ne percepiamo i cambiamenti). La persona che abbiamo difronte deve sentirsi ascoltata, percepire di essere ascoltata. Il secondo è la chiarezza. E’ importante dare una direzione alla comunicazione. Bisogna imparare a distinguere i fatti dalla mente (pensieri e le emozioni), sia con noi stessi che con gli altri. I fatti sono quelli che può riprendere una telecamera. La mente, invece, molto spesso ci racconta qualcosa di molto diverso dai fatti. Il terzo requisito per una comunicazione efficace è la comprensione. E’ necessario imparare a fare una distinzione tra contenuto e struttura, tra ciò che mi viene portato nel colloquio (contenuto) e la struttura del meccanismo di funzionamento delle cose. Dobbiamo ricavare la struttura e rimanere sulla struttura, approfondendo i significati che l’altro (o che noi stessi) dà ai fatti, ben oltre il contenuto che porta. Il quarto requisito di una buona comunicazione e un buon dialogo è l’indagine delle alternative, aiutando la persona a fare delle piccole esperienze che possano modificare la sua comprensione delle cose. Attraverso l’esperienza si amplia notevolmente il nostro punto di vista sul nostro vissuto. Quali sono le difficoltà che incontri nella comunicazione? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Comunicazione: a cosa reagisci?

Comunicazione: a cosa reagisci?

Comunicazione: a cosa reagisci? Quando abbiamo uno scambio, una comunicazione con qualcuno, a cosa dobbiamo porre attenzione? Perchè capita che non riusciamo a capire o farci capire? Quante volte ci capita di non riuscire ad avere una comunicazione efficace? La maggior parte della comunicazione che utilizziamo è distruttiva e violenta, basata su uno schema di potere dominio sull’altro. In queste circostanze, a livello superficiale, apparentemente, ci sembra che la comunicazione con l’altro sia una comunicazione adulto-adulto; in realtà è una comunicazione bambino-bambino, in cui ognuno vuole far emergere le sue ragioni, una comunicazione di tipo egoico in cui si cerca di prevalere sull’altro. Se vogliamo che la nostra comunicazione sia evolutiva, ci dobbiamo accorgere del bambino che vuole avere ragione e vuole potere sull’altro. Possiamo analizzare la nostra comunicazione utilizzando il quadrato della comunicazione, uno strumento che porta l’attenzione su quattro principali canali di comunicazione. Con il quadrato della comunicazione noi possiamo approfondire il tipo di comunicazione che utilizziamo con l’altro e vedere: – come ci definisce – cosa vuole che facciamo – chi è l’altro/come si definisce – relazione, qual è il rapporto tra di noi Quando ci agganciamo ai nostri vissuti, sprofondiamo nel nostro mondo interno e perdiamo il contatto con la realtà diventando ‘qualcosa’ che non siamo e attivando una reazione che risponde a quel sentire. Se ci osserviamo con consapevolezza, man mano che ci agganciamo ai nostri vissuti, possiamo scoprire quelli che sono i nostri canali comunicativi preferenziali. E tu, quale canale di comunicazione utilizzi prevalentemente? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Che tipo di comunicazione hai con te stesso?

Che tipo di comunicazione hai con te stesso?

Che tipo di comunicazione hai con te stesso? Ognuno di noi attiva, a seconda delle circostanze, un tipo di comunicazione specifica, un proprio stile comunicativo. Quando abbiamo un dialogo con qualcuno, è necessario adeguare il linguaggio alla persona che abbiamo difronte. E il tipo di linguaggio che utilizziamo è lo specchio del tipo di comunicazione che abbiamo con noi stessi. Se volete aiutare voi stessi è necessario, quindi, adeguare il linguaggio che usiamo appunto con noi stessi: se stiamo parlando alle nostre parti – parlo di dialogo intrapersonale – spesso noi cerchiamo di convincere una nostra parte piccola con il ragionamento di una nostra parte adulta, senza renderci conto che il bambino ha un linguaggio molto più semplice. Fateci caso, notate cosa accade dentro di voi, perché come comunichiamo all’interno così tendiamo a comunicare all’esterno. Nella comunicazione intrapersonale, come anche nella comunicazione interpersonale, un aspetto basilare è l’ascolto.Di solito ci capita che, invece di dare ascolto, noi offriamo soluzioni e giudizi. Mentre chi ci chiede ascolto ha solo bisogno di uno spazio di non giudizio. Noi, invece, diamo la soluzione per sentirci up, per sentirci bravi; dare soluzioni è un modo più raffinato per giudicare un altra persona. Sospendere il giudizio, al contrario, vuol dire concentrarsi sull’altro, sentire il suo vissuto, e si può fare solo se ci consideriamo umani come l’altro. Un ascolto non giudicante, un dialogo non giudicante, ci consentono di sospendere il giudizio anche verso noi stessi. E questa è la base di una buona comunicazione. E tu, che tipo di comunicazione hai con te stesso? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo? Cosa è l’ascolto? Quando l’ascolto è profondo? Come faccio a capire che sono in un processo di ascolto profondo? Siamo capaci di ascolto? Se ognuno ascolta se stesso, la risposta non è così semplice e scontata come può sembrare. L’ascolto è un processo, qualcosa di dinamico, un’attività, che appunto procede da un punto verso un altro punto. L’ascolto profondo richiede un ulteriore impegno. Quello di entrare in contatto, innanzitutto con noi stessi, andando oltre il nostro ego. Quando diamo ascolto al nostro ego, mettiamo in pratica il nostro copione, che si incontra (e scontra) con il copione dell’altro: ego contro ego, copione contro copione, l’ascolto diventa impossibile. Per spezzare questo meccanismo è necessario entrare in ascolto profondo, che non significa semplicemente ascoltare le parole dell’altro, ma anche i suoi silenzi, i suoi occhi. Nel processo di ascolto, andando oltre l’ego, io vado oltre il bisogno di approvazione, di ammirazione, di giudizio positivo dell’altro nei miei confronti; mi do il permesso di essere, di essere me stesso e, dando a me questo permesso, io lo do automaticamente anche all’altro. Così l’ascolto diventa uno scambio tra anima e anima, da cuore a cuore. E’ in questo modo che possiamo iniziare a vedere le persone per quello che realmente sono, senza scatenare il nostro ego contro l’ego dell’altro e andando oltre i copioni relazionali. E, concretamente cosa fare quando ascoltiamo? Quando vi viene questa domanda a parlare è l’ego, perché sente il bisogno di imparare a fare un’azione per poter dimostrare di saper ascoltare. Quando ascoltiamo dobbiamo semplicemente fare una sola azione: ascoltare! Quali sono le volte in cui hai fatto esperienza dell’ascolto profondo? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano?

Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano?

Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano? Io devo essere perfetto! Io devo essere forte! Io devo essere un buon genitore! Io devo fare bene ogni cosa! Quante volte volte ti capita di pensare in questi termini? Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano? Spesso nella nostra mente spuntano questo generi di pensieri sul ‘dovere’: devi essere perfetto, devi essere performante, devi essere buono, devi essere un bravissimo genitore ; insomma, un elenco lunghissimo di doveri, che riguardano i più diversi aspetti della nostra vita: lavoro, vita privata, rapporto con noi stessi. Ci carichiamo di veri e propri obblighi ad essere e a fare, che ci tolgono la libertà, perché limitano la nostra volontà e possibilità di scelta. Ogni parola che utilizziamo nel nostro modo di parlare ha un peso, un potere. Dire ‘io devo’ ci incastra in emozioni come rabbia, frustrazione ed ansia, in quanto vorremmo essere diversi da ciò che siamo. Utilizzando le quattro domande del lavoro di Byron Katie possiamo ampliare il nostro punto di vista rispetto alle doverizzazioni e renderci conto che i devo che ci limitano sono dei pensieri e che possiamo imparare, cambiando il linguaggio, a cambiare anche le sensazioni e le emozioni ad essi legate.
Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni

Oltre la sofferenza: problema e soluzioni La sofferenza è una spia che si accende che ci indica che c’è un problema. La sofferenza, però, è una spia aspecifica, è un indicatore che c’è qualcosa da modificare, perché il sistema non è in equilibrio. In che modo la sofferenza è legata al problema? E come possiamo trovare delle soluzioni al nostro problema, andando oltre la sofferenza? Innanzitutto, per poter definire il problema in modo concreto e preciso, va distinta la sofferenza necessaria da quella inutile e avere così un primo indicatore. La vita cambia e bisogna adattarsi. questo adattamento ci richiede uno sforzo e noi andiamo in stress. La sofferenza necessaria ci fa crescere, ci fa diventare intelligenti; nella ricerca di soluzioni al problema, impariamo qualcosa in modo naturale. Affrontando i problemi, quindi, cresciamo, impariamo, che vuol dire che evolviamo. La sofferenza, infatti, è strumentale all’evoluzione. Quando alla sofferenza necessaria sovrapponiamo l’attività della mente, i giudizi, i non è giusto, ci lamentiamo, andiamo in stress e tutto ciò ci impedisce di crescere. La sofferenza, quindi, è la spia che indica un PROBLEMA. il problema è una perturbazione di un sistema che non gli permette di essere nell’equilibrio migliore. Tuttavia, se c’è un problema, ci sono delle soluzioni. Noi spesso pensiamo che le soluzioni siano riportare il sistema all’equilibrio (soluzione riparativa: si aggiusta qualcosa). Però c’è una regola nella vita: non è possibile tornare indietro. Bisogna trovare un nuovo equilibrio. La soluzione è un nuovo equilibrio: la vita ci chiede di modificare qualcosa per cercare un nuovo equilibrio funzionale. Soluzione vuole dire modificare, vuol dire cambiamento. Ci sono però degli impedimenti. Spesso ci fermiamo alla sofferenza, senza riuscire ad andare oltre la sofferenza stessa: ci lamentiamo e ci crogioliamo, senza nemmeno riuscire ad individuare il problema. Quando, invece, riusciamo ad individuare il problema possiamo incappare in un altro impedimento: neghiamo il problema. non agendo quando dovremmo agire. Oppure, ci può capitare di agire quando non dovremmo agire. Questo genera un conflitto: seguiamo i nostri bisogni, l’altro non lo vediamo proprio. Un altro impedimento è il riflettere costantemente sul problema: iniziamo a pensare sul problema, a cercare le cause, a voler capire come funziona, capire i perché. Però, per riuscire a superare la sofferenza, è necessario capire che il comportamento umano non ha solo una causa. La convinzione che se trovi la causa trovi la soluzione è di tipo psicanalitico, ma è una concezione culturale, che ha grossi limiti e non ha riscontri nella realtà. cercare le cause nel passato, non risolve, non da’ indicazioni su come risolvere i problemi.se non modifichiamo qualcosa nel presente, non serve pensare al passato. Per andare oltre la sofferenza, quindi, e trovare soluzioni al problema, occorre innanzitutto definire il problema, quindi non cercare le cause nel passato, ma vedere come le variabili in modo sistemico si influenzano tra di loro. E che spesso, modificando una variabile, si modifica l’intero sistema e si arriva alla soluzione del problema e, quindi, al superamento della sofferenza.